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Russi alle urne, tra social multati e l'opposizione dietro le sbarre

Russian President Vladimir Putin votes online on the first day of the three-day parliamentary election at the Novo-Ogaryovo state residence outside Moscow on September 17, 2021. (Photo by Alexey DRUZHININ / SPUTNIK / AFP) (Photo by ALEXEY DRUZHININ/SPUTNIK/AFP via Getty Images) (Photo: ALEXEY DRUZHININ via Getty Images)
Russian President Vladimir Putin votes online on the first day of the three-day parliamentary election at the Novo-Ogaryovo state residence outside Moscow on September 17, 2021. (Photo by Alexey DRUZHININ / SPUTNIK / AFP) (Photo by ALEXEY DRUZHININ/SPUTNIK/AFP via Getty Images) (Photo: ALEXEY DRUZHININ via Getty Images)

Solo davanti allo schermo, mentre il suo Paese scende per strada e raggiunge le urne parlamentari per eleggere 450 deputati alla Duma. Anche il presidente Vladimir Putin ha espresso la sua preferenza battendo i tasti con un dito solo, su uno dei computer che ama poco, usando il sistema di votazione elettronico, preferito da almeno il 40% dei moscoviti. Se il Cremlino rimane chiuso nelle sue stanze, Putin è ben più blindato: la sua cerchia di alleati e collaboratori ha contratto il virus ed è in isolamento. Qualcuno lo chiama presidente al crepuscolo, ma appare molto lontano il suo epilogo.

Con un consenso mai così basso ed una vittoria ineluttabile già in tasca. Le linee in picchiata degli ultimi sondaggi pubblicati indicano che il suo partito, Russia Unita, con meno del 30% di gradimento, rimane il primo nonostante sia ai minimi storici. Subito dopo ci sono i comunisti, poi liberali ed infine movimenti minori, come Spravedlivaja Rossia, Russia giusta. Tra l’apatia collettiva, la passione estrema di alcuni che ancora sfidano le autorità può penalizzare, anche se marginalmente, la squadra governativa, colpevole per molti delle conseguenze economiche riprovevoli dell’ondata di virus che ha affrontato il Paese.

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Il voto suggerito da Navalny è “intelligente”, ma il Cremlino vuole esserlo di più. Nel mondo virtuale, dove la battaglia elettorale è più veemente e feroce che in quello reale. La squadra del dissidente ha pubblicato poco prima dell’apertura delle cabine la lista dei candidati da sostenere, - quasi tutti in corsa con il Partito comunista -, per seguire la strategia del “voto intelligente”, tecnica elaborata nel 2019 per convogliare tutte le preferenze verso politici non allineati al Cremlino che possono mettere in difficoltà il governo.

Rostelcom, servizio federale russo addetto alla supervisione del web, ha bloccato Google doc, la piattaforma dove era stato pubblicato il file dal Fondo anti-corruzione, il movimento del dissidente ormai illegale nel Paese. Pochi giorni fa Facebook e Twitter sono state tacciate di “interferenza elettorale” e multate per milioni di rubli per non aver cancellato contenuti vietati delle pattuglie ancora libere dell’oppositore. Google, a cui appartiene il dominio dell’app di Navalny, è stata accusata di detenere, in maniera illegale, dati personali di cittadini della Federazione.

C’è la censura del Cremlino, ma anche il mutismo dall’app di messaggistica più criptata che c’è in Russia. Il fondatore di Telegram, Pavel Durov, ha inaspettatamente annunciato il “silenzio elettorale”, regola che la sua creatura digitale osserverà eliminando supporto ai bot che diffondono documenti e informazioni utili sulle elezioni in corso.

Con l’opposizione dietro le sbarre o perseguitata, i russi vanno a votare rassegnati all’inerzia che offre l’illusione della scelta. Le cifre di partecipazione sono in aggiornamento come le accuse di brogli. Anche in questa elezione i trucchi sono quelli antichi, quasi da tradizione inossidabile di un sistema stantio, ma non fragile. Molti cittadini russi hanno postato foto e video di scatole di vetro già piene di preferenze quando si sono recati alle urne nelle prime ore del mattino di ieri. Sotto lo stesso ombrello rosso della falce e martello si agitano truppe di omonimi, sosia e cloni per confondere l’elettorato, che deve stare attento a distinguere tra Vitaly e Vasily, entrambi Petrov, Nikolai e Aleksey, entrambi Volkov. È la battaglia tra il grande partito comunista e quello ben più piccolo dei comunisti russi, dove spicca l’eccentrico Serghey Malinkovich, spesso in berretto dell’armata rossa e sciarpa da ultras di calcio. Per eleggere i rappresentanti parlamentari, autobus sulla cui fiancata c’era scritto a lettere cubitali “La nostra scelta: la Russia!” sono partiti anche dal Donbas di guerra, carichi di quanti hanno ricevuto il passaporto di nuovi cittadini della Federazione.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.