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Serve una legge sul clima in Italia. "Persi 10 anni, ma possiamo ripartire"

(Photo: Alina Rudya/Bell Collective via Getty Images)
(Photo: Alina Rudya/Bell Collective via Getty Images)

Che carte ha in mano l’Italia che sta per sedersi al tavolo dei negoziati climatici di Glasgow? Se guardiamo indietro, al cammino percorso nell’ultimo decennio, non c’è da stare tranquilli. Dieci anni fa eravamo i campioni delle fonti rinnovabili, avevamo anticipato un trend che oggi appare ovvio ma che all’epoca era vivacemente contestato; oggi siamo al palo, ci muoviamo come un bradipo mentre alcuni dei nostri concorrenti scattano come pantere. Dieci anni fa avevamo in mano un saldo patrimonio di conoscenze tecniche che ci avevano dato la patente di antesignani dell’economia circolare; oggi la nostra capacità di innovazione è rallentata dal peso della burocrazia e dal muro del nimby, che tradotto vuol dire: è una bellissima idea, ma siccome non mi fido di te la vai a fare da un’altra parte. Insomma la transizione ecologica ha due gambe: rinnovabili ed economia circolare. Entrambe hanno problemi di circolazione.

È questo il quadro che emerge dalla prima giornata degli Stati generali della green economy, organizzati dal Consiglio nazionale della Green economy composto da 68 organizzazioni di imprese, in collaborazione con il ministero della Transizione ecologica e la Commissione europea e con il supporto tecnico della Fondazione per lo sviluppo sostenibile.

Un quadro sostenuto da molti numeri. Basta citarne tre. A fronte di un rimbalzo delle emissioni di CO2 nel 2021 calcolato dall’International Energy Agency in un più 4,8%, in Italia si prevede un più 6%. Secondo lo studio European Governance of the Energy Transition presentato il 4 settembre 2021 dalla Fondazione Enel e dall’European House-Ambrosetti, con il passo attuale il target europeo di riduzione del 55% dei gas serra invece che al 2030 in Italia si raggiungerebbe nel 2059, con 29 anni di ritardo. Nel 2020 sono stati installati solo 800 megawatt di nuovi impianti di fonti rinnovabili elettriche: per raggiungere il target europeo si dovrebbero installare almeno 7.000 megawatt annui per i prossimi dieci anni.

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Partita persa? Non è detto. Perché, se proviamo a immaginare il filmato dei prossimi dieci anni con un timone della transizione ecologica mirato a traguardi avanzati, capace di dare una sponda alle imprese più innovative (che sono state capaci di crescere anche con le difficoltà dell’ultimo decennio), la prospettiva si rovescia.

“Occorre una legge per la protezione del clima, sul modello di quelle adottate da altri Paesi europei come Germania, Francia e Gran Bretagna, per raggiungere gli obiettivi che servono non solo a difendere il nostro benessere e la nostra sicurezza, ma anche a rilanciare l’economia”, propone Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. “Bisogna stabilire una roadmap al 2030: raddoppiare le rinnovabili dal 20 al 40% e tagliare il consumo di combustibili fossili del 40%, introdurre misure di adattamento, coinvolgere attivamente le città nel raggiungimento dei target climatici, vincolare almeno il 50% delle risorse del Pnrr per sostenere l’innovazione dei processi produttivi in direzione circolare, recuperare i ritardi dell’Italia nella digitalizzazione. In questo modo l’Italia può diventare una locomotiva green dell’Unione europea”.

Dunque non solo rilancio delle fonti rinnovabili ma anche dell’economia circolare. Del resto è la Commissione europea a dire che l’applicazione dei principi dell’economia circolare nell’insieme dell’economia dell’UE potrebbe aumentarne il Pil di mezzo punto entro il 2030, creando 700 mila nuovi posti di lavoro: è una prospettiva che offre un chiaro vantaggio commerciale per le imprese manifatturiere dell’Ue che destinano in media circa il 40% della spesa all’acquisto di materiali.

In Italia questo vantaggio è ancora più netto perché siamo un Paese manifatturiero povero di risorse: dipendiamo pesantemente dall’importazione dai mercati esteri, siamo molto esposti alla variazione dei prezzi a livello internazionale. E il barometro delle materie prime segna burrasca: l’Unep (il Programma ambiente delle Nazioni Unite) prevede che, in assenza di un cambiamento strutturale del sistema produttivo, i livelli di estrazione, dopo aver registrato un aumento di quattro volte tra il 1970 e il 2015, dovrebbero raddoppiare nel 2060 rispetto al 2015.

Dunque abbiamo tutto da guadagnare da uno sviluppo basato su rinnovabili ed economia circolare, cioè su processi che consentono di trovare in loco gli elementi necessari allo sviluppo. I dati forniti dal Circular Economy Network (Cen) mostrano che siamo ancora in buona posizione, ma che senza un’accelerazione netta rischiamo di perdere posizioni e posti di lavoro.

L’Italia nel 2020 – calcola il Cen - si è classificata prima fra i cinque principali Paesi europei per produttività delle risorse (misurata in euro di Pil per chilo di risorse consumate), con 3,7 euro per chilo, davanti a Francia Germania, Spagna e Polonia). Per il tasso di utilizzo circolare dei materiali siamo al secondo posto dopo la Francia.

“L’Italia ha buone carte, ma deve saperle giocare perché il contesto diventa sempre più competitivo, soprattutto con il pacchetto legislativo Fit for 55 che l’Unione europea ha messo a punto”, ha aggiunto l’eurodeputata Simona Bonafè. “La sfida climatica richiede di alzare il livello di ambizione nella trasformazione del nostro sistema energetico”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.