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Siamo vicini ad un punto di svolta nella guerra tra valute

Se come dice Rickards le guerre tra valute sono come guerre reali, allora è lecito aspettarsi anche accordi sottobanco tra le forze in battaglia. Infatti, come ci ricorda lo stesso autore in un pezzo riguardante il meeting del G-20 del 26 febbraio scorso, è possibile che alcune nazioni abbiano sottoscritto un accordo segreto a Shanghai sulla falsariga degli Accordi del Plaza del 1985. All'epoca questi accordi vennero sottoscritti da USA, Francia, Germania Ovest, Giappone e Inghilterra, e, attraverso l'intervento nei mercati valutari, c'era la precisa di svalutare il dollaro USA in relazione allo yen e al marco. L'accordo segreto di Shanghai, invece, sottoscritto da USA, FMI, Giappone, Cina ed Europa, avrebbe lo scopo di svalutare lo yuan cinese. Dato che la Cina è la seconda economia mondiale e dato che, nonostante la PBOC si stia dando fare con la stampante monetaria senza risultati concreti, non è possibile svalutare ulteriormente lo yuan a meno di rischi crescenti. Non solo, ma visto che la sua economia è piena zeppa di bolle, un suo crollo potrebbe avere gravi ripercussioni per l'economia mondiale. La soluzione, secondo l'accordo segreto di Shanghai, sarebbe quella di far rafforzare le valute degli altri partner commerciali, in particolare yen ed euro, e indebolire lo yuan senza passare per l'ennesima svalutazione plateale. Non a caso è quello che è accaduto nonostante la BCE (Toronto: BCE-PA.TO - notizie) abbia aumentato il QE (salvo poi aggiungere che si sarebbe fermata qui) e la BOJ sia atterrata in territorio negativo. Quindi lo yuan è stato svalutato senza che la PBOC muovesse un dito, e grazie alla stretta connessione col dollaro, anche quest'ultimo ha ricevuto uno slancio svalutativo. Cosa accadde dopo gli Accordi del Plaza? Il dollaro scese di circa il 30% e il prezzo dell'oro salì più del 50%. Ad oggi, il prezzo dell'oro è salito del 20% sin dall'inizio dell'anno, mentre il dollaro è entrato in un trend ribassista. Tenetevi strette le vostre once d'oro.

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di James Rickards

Le (Taiwan OTC: 8490.TWO - notizie) guerre tra valute sono vere e proprie guerre. Possono durare più a lungo di quanto ci si possa aspettare, e sancire vittorie e perdite inattese. Nelle guerre vere non si combatte sempre. Ci sono periodi di quiete, seguiti da grandi battaglie, seguite da nuovi periodi tranquilli mentre gli eserciti si riposano e si riorganizzano.

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Sembra che il recente periodo tranquillo sia finito e che la guerra tra valute stia entrando in una nuova battaglia importante. Il dollaro americano è passato da un minimo nell'agosto 2011 ad un massimo di 10 anni a metà del 2015. Questa salita del dollaro è stata alimentata dalla politica monetaria restrittiva della FED, iniziata a maggio 2013 con il "taper" di Bernanke e continuata a dicembre 2015 con il "liftoff" della Yellen.

Ma il dollaro forte ha infine raggiunto l'economia degli Stati Uniti, in netto rallentamento. Dopo lo "yen debole" del 2013 e "l'euro debole" del 2015, sembra sia arrivato di nuovo il momento di un dollaro debole. Le guerre tra valute sono tornate sulle coste statunitensi dopo l'atteggiamento remissivo della FED nelle sue dichiarazioni del 16 marzo scorso. Janet Yellen ha rafforzato suddetto atteggiamento nel suo discorso all'Economic Club di New York.

Ci sono svolte improvvise, dove un trend a lungo termine inverte la rotta. I "vincitori" di oggi (le valute forti) diventano improvvisamente i "perdenti" (le valute deboli) di domani, contrariamente alla maggior parte delle aspettative e delle previsioni di Wall Street.

Queste inversioni di tendenza non sono insolite nei mercati valutari; bisogna aspettarsele. Le valute importanti presentano caratteristiche più affidabili rispetto ai mercati mobiliari. Azioni e obbligazioni, infatti, possono andare a zero (in caso d'insolvenza o di fallimento) o all'infinito (quando una startup nel campo tecnologico diventa il prossimo Facebook (NasdaqGS: FB - notizie) o Uber). Ma tali estremi sono molto insoliti nelle valute, sebbene ci siano eccezioni come l'iperinflazione in Zimbabwe o in Venezuela.

I tassi di cambio incrociati tra le valute principali possono anche manifestare trend forti (su o giù), ma alla fine s'invertiranno. Negli ultimi cinque anni l'euro è stato tradato ad un massimo di $1.48 (29 aprile 2011) e ad un minimo di $1.05 (15 Marzo 2015). Questo è un intervallo ampio, ma tale rimane.

Ultimamente l'euro è stato tradato fino ad un massimo di $1.13, ma nessun analista si aspetta seriamente che l'euro arrivi a $2.00 o a $0.50 nel prossimo futuro. Il punto è che le valute vengono tradate in un intervallo, il che significa che mostrano punti di svolta critici ai limiti estremi del suddetto intervallo.

In un mondo senza un ancoraggio ad una valuta, che sia l'oro, il dollaro o i diritti speciali di prelievo (DSP), i tassi di cambio incrociati sono altamente volatili. Su base giornaliera, le valute sono difficili da prevedere o tradare. Ciononostante esistono le dinamiche di lungo periodo che sono utili per fare previsioni.

Si possono fare grandi profitti quando s'intuisce la giusta direzione e si fornisce al trade abbastanza tempo per andare a proprio favore.

Ci stiamo avvicinando ad uno di quei punti di svolta, nel caso specifico per il dollaro degli Stati Uniti.

Al fine di prevedere tali punti di svolta, io uso il mio metodo IMPACT. Questo metodo comporta l'utilizzo di una teoria della complessità per individuare le "proprietà emergenti". Una proprietà emergente è un evento sistemico che sembra provenire dal nulla e non può essere dedotto dalla conoscenza completa degli elementi nel sistema.

Altri definiscono le proprietà emergenti "cigni neri". Io preferisco il termine "proprietà emergente" perché è più scientifico, mentre "cigno nero" è rozzo e poco professionale.

In questo momento l'indicazione d'allarme più consistente è arrivata da quello che definisco "Yellen's Conundrum". Janet Yellen e la Federal Reserve vogliono una maggiore inflazione; l'hanno detto tante volte. Il loro obiettivo d'inflazione è del 2%, prendendo come riferimento il deflatore della spesa personale al consumo (PCE) su base annua. Janet Yellen e la Federal Reserve vogliono anche tassi d'interesse più elevati.

Lo scorso dicembre la FED ha disposto un percorso d'aumento dei tassi da 300 punti base in tre anni, che in media è un aumento di 25 punti base ogni riunione del FOMC. Malgrado ciò si concedono alcune deviazioni in base ai "dati in entrata" e alla performance economica reale. Ma l'aumento dei tassi d'interesse rende il dollaro più forte, situazione che è deflazionistica.

Quando la propria politica è dichiaratamente inflazionistica, come si può perseguire un percorso che invece è deflazionistico? Non è possibile. Le politiche contraddittorie della FED non hanno senso. O l'una o l'altra.

Capire il percorso della FED e come debba invertire la rotta, è la chiave per fare profitti fuori misura.

Il grafico qui sotto mostra da solo il vicolo cieco in cui è finita la FED:

Viene raffigurato l'indice del dollaro negli ultimi 10 anni. Il dollaro ha sperimentato un rally nel 2008-09 (in base ad un "fear trade" durante il panico) e poi è crollato nel 2009-2011 (sotto il QE1, QE2 e "Operation Twist"). Nell'agosto 2011 il dollaro ha raggiunto un minimo storico e, non a caso, il prezzo in dollari dell'oro ha raggiunto un massimo.

Il dollaro ha sperimentato un rally alla fine del 2011, dopo la fine del QE2 e il Twist, ma poi è sceso di nuovo con l'avvento del QE3 a settembre 2012.

Il punto di svolta è stato il restringimento della FED iniziato a maggio 2013, con il "taper" di Ben Bernanke. La FED non l'ha iniziato sin da subito, ma la semplice menzione è stata sufficiente per far impennare il dollaro. Inoltre ha anche innescato un crollo nei mercati emergenti, poiché si sono interrotti i flussi di hot money nei carry trade in quei luoghi e sono stati re-indirizzati nei buoni del Tesoro USA.

Questo enorme rally del dollaro è continuato fino all'attuazione effettiva del tapering (dicembre 2013), la rimozione della forward guidance (marzo 2015) e il "liftoff" della FED riguardo i tassi d'interesse (dicembre 2015).

L'intero ciclo rappresenta un aumento del 33% nel valore dell'indice del dollaro in 52 mesi. Ascese del 33% non sono insolite nelle azioni, ma sono altamente inusuali per quanto riguarda le valute. In un mondo in cui i tassi di cambio sono fluttuanti, i principali partner commerciali sono tenuti a mantenere una certa stabilità nei loro tassi di cambio incrociati.

Le condizioni del commercio, sulla base di fattori produttivi, risorse naturali, demografia, tecnologia, ecc., cambiano nel corso del tempo, ma non così velocemente.

Questa salita del dollaro è meglio definirla come uno shock basato sul desiderio della FED di "normalizzare" i tassi d'interesse e porre fine alla politica del tasso zero (ZIRP).

Ma la normalizzazione dei tassi d'interesse ha un costo elevato: disinflazione confinante con la deflazione. Il dollaro forte fa male agli utili delle società statunitensi e ai prezzi delle azioni in due modi: facendo diminuire le esportazioni e danneggiando gli utili all'estero che devono essere convertiti in dollari.

Questa tendenza deflazionistica derivante da un dollaro forte, spinge la FED più lontano dal suo obiettivo di un'inflazione al 2%. Questa dinamica può essere vista nel grafico qui sotto, il quale utilizza lo stesso intervallo di tempo del grafico precedente:

La Autore: Francesco Simoncelli Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online