Sindrome del Covid Lungo: che cos'è e chi rischia di più
Anche quando si guarisce dal Covid-19 e il tampone è negativo, i sintomi possono restare per mesi. È in questi casi che, come riporta uno studio pubblicato su Nature e intitolato “Long COVID: let patients help define long-lasting COVID symptoms”, si parla di “Covid Lungo” o “sindrome da post-Covid” (Long Covid). Secondo l'epidemiologo britannico Tim Spector, intervistato dall'Huffington Post, “potrebbe rivelarsi un problema di salute pubblica più grande perfino rispetto alle morti per Covid-19".
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A parlare del Covid Lungo è anche una ricerca (“Persistent Symptoms in Patients After Acute COVID-19”) condotta all’ospedale Gemelli di Roma, dove un'equipe specializzata ha seguito 143 pazienti precedentemente risultati positivi al coronavirus dopo la dimissione: l'87% di loro, pur essendo negativo al test, mostrava di avere ancora sintomi a due mesi dall'uscita dall'ospedale.
Più della metà provava spossatezza, il sintomo più comune. Fra i sintomi più frequenti: dispnea (fatica nella respirazione, 43,4%), dolori articolari (27,3%), dolori al petto (21,7%). Il 32% aveva almeno o due sintomi. Il 55% ne aveva tre o più. Nessuno presentava febbre.
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Secondo la Bbc, altre caratteristiche che gli ex pazienti Covid si portano addosso per i mesi (o anni?) successivi possono includere: tosse, problemi a udito e/o vista, mal di testa, ma anche depressione o ansia.
Chi rischia di più?
Secondo un altro studio (“Attributes and predictors of Long-COVID”) eseguito questa volta presso il King’s College di Londra, le donne di età compresa tra 50 e 60 anni hanno maggiore rischio di sviluppare la sindrome post-Covid. In particolare, la probabilità di soffrirne è otto volte maggiore rispetto alle donne di età compresa tra 18 e 30 anni.
Per quanto riguarda il rapporto uomo-donna, la differenza più marcata è stata osservata tra i soggetti di età compresa tra i 40 e i 50 anni: in quella fascia il rischio delle donne di sviluppare sindrome Long Covid era il doppio di quello degli uomini.
“È un modello simile a quello che si riscontra nelle malattie autoimmuni. Anche l’artrite reumatoide, le malattie della tiroide e il lupus sono due o tre volte più comuni nelle donne fino a poco prima della menopausa, poi il tasso di diffusione diventa simile per entrambi i sessi”, ha detto al Guardian il professor Tim Spector, a capo della ricerca. L’ipotesi degli scienziati è che le differenze del tasso d’incidenza in base al genere e all’età possano dipendere da come il sistema immunitario risponde al virus.
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