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Slot machine, la lobby dice no alla sanatoria

Slot machine, la lobby dice no alla sanatoria

Oltre al danno, la beffa. La sanatoria sulle slot machine rischia di creare non pochi problemi al governo Letta. A rischio circa 600 milioni di euro che l’esecutivo aveva ipotizzato di incassare come voce di spesa per coprire, in parte, il mancato introito dell’Imu sulla prima casa. Ma le lobby del gioco d’azzardo hanno, per il momento, rifiutato la transazione con il rischio che a pagare il conto, come sempre, debbano essere i cittadini.

Sui concessionari di slot machine pende una multa da 2 miliardi e mezzo di euro. Il contenzioso riguarda il biennio 2005-2007 quando la Guardia di Finanza registrò come le slot delle dieci società coinvolte nell’inchiesta non fossero collegate al cervellone dei monopoli e, come conseguenza, non fossero monitorate. In buona sostanza non versarono un centesimo allo Stato di tasse. Il pm chiese 98 miliardi di multa – moltiplicando le ore di attività non registrate per il numero di macchinette scollegate – che poi diventarono 2,5 miliardi nel giudizio di primo grado. L’idea del governo è stata quella di una transazione: pagando circa un quarto, le aziende avrebbero sanato la loro posizione. Versando, quindi, circa 600 milioni si potrebbe chiudere la faccenda. Un piccolo tesoretto che in tempo di crisi fa comodo per rimpinguare le finanze statali. “A queste condizioni le aziende non aderiranno alla transazione”, ha spiegato al Corriere della Sera Massimo Passamonti, presidente di Confindustria Gioco , associazione che raggruppa 6mila imprese. “Preferiamo aspettare il giudizio d’appello perché siamo sicuri che ci darà ragione”.

Il mancato introito può diventare un serio problema. Anche perché l’esecutivo Letta non è stato previdente. Nelle prime bozze del decreto sull’Imu si parlava, infatti, di un piano di riserva, ovvero l’aumento della tassazione sui giochi in caso di fallimento della sanatoria. Eventuale ritocco che è stato subito considerato come un ricatto dagli operatori del settore e che nella versione finale del decreto è scomparso dal testo. Quindi, chi pagherà nel caso lo Stato non trovi un accordo con la lobby del gioco? La domanda è quasi retorica perché a farne le spese, come al solito, saranno i cittadini. Basta dare un’occhiata alla Gazzetta Ufficiale: “Qualora […] emerga un andamento che non consenta il raggiungimento degli obiettivi di maggior gettito indicati alle medesime lettere, il ministro dell’Economia e delle Finanze […] stabilisce l’aumento della misura degli acconti ai fini dell’Ires e dell’Irap, e l’aumento delle accise”.

Traduzione: più tasse per imprese e famiglie. Anche perché se dovessero aumentare le accise, salirebbero i prezzi di alcol e tabacco, ma non dei giochi. Quelli sarebbero al riparo perché sottoposti a tassazione ordinaria. Non aver introdotto la possibilità di un aumento di tassazione sulle slot suona un po’ come un regalo alla lobby dell’azzardo. “Un aumento delle tasse sui giochi sarebbe stato controproducente e avrebbe portato a una riduzione del gettito”, hanno spiegato da Confindustria a L’Espresso, sottolineando come le aziende del settore siano “impossibilitate a trovare entro il 15 novembre le centinaia di milioni di euro richiesti”. In un contesto del genere, l’aumento dell’Iva al 22 per cento diventa sempre più probabile, con conseguenti polemiche politiche, tutte interne all’esecutivo. Su una cosa, però, sarebbero tutti d’accordo: il no alla transazione, se confermato, scombussolerebbe le voci di spesa. Non ne risentirebbe, però, il settore giochi, difeso a spada tratta da Confindustria Gioco che riconosce come “lo sviluppo del mercato abbia portato ad alcuni eccessi”. Il riferimento è a tutte quelle persone che si sono rovinate, indebitandosi, pur di buttare un euro dietro l’altro nella macchinetta al bar sotto casa.