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La sorpresa arriva dall'Opec

Ieri sera, ad un paio d’ore dalla chiusura di Wall Street, l’OPEC ha sorpreso alla grande investitori ormai scettici, raggiungendo un accordo di massima addirittura per un taglio della produzione, dagli attuali 33,25 mln di barili ad un range di 32.5-33 mln (quindi un calo di 250-750.000 barili al giorno). Si tratterebbe del primo taglio alla produzione dal 2008, importante non tanto per l’importo (modesto) ma come segnale di un cambio di strategia dell’OPEC, e soprattutto dell’Arabia Saudita, finora principale artefice della strategia di lasciare che il mercato si ribilanci da solo.

Il caveat è che il deal dovrebbe essere formalizzato alla riunione Opec del 30 novembre, in occasione della quale si dovranno specificare le singole quote, questione spinosa, assolutamente in grado di affondare l’accordo, a mio modo di vedere.

A parte ciò, resta comunque la questione della larga parte di produzione che fa capo a paesi non OPEC, non tanto la Russia, che si è più volte dichiarata a favore di un accordo, ma la shale industry US, che non vede l’ora che il prezzo salga un po’, per riaprire quei possi che risultano antieconomici con l’oil sotto 50.

Detto questo, è un fatto che, dopo una lunga serie di meeting inconcludenti, le attese del mercato erano modeste e quindi in assenza di rotture del fronte queste news potrebbero avere un impatto meno effimero del solito. Anche perchè le carte in mano a Arabia e C. potrebbero non venire scoperte prima di 2 mesi.

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Sulla notizia, l’oil si è, impennato, trasformando una giornata inconcludente in un +5%. Naturalmente l’azionario ha reagito alle news, seppure non con la veemenza di qualche mese fa. Trainata dall’energy (+4.3) Wall Street ha messo a segno un +0.6% che, sebbene modesto rispetto al balzo dell’oil, non sembrava nelle carte appena un ora prima. Modesta discesa dei bonds, che ovviamente sono andati a prezzare un po’ di inflazione in più.

Personalmente, non mi sono stupito della reazione morigerata dell’azionario e mi trovo a chiedermi se un aumento significativo del prezzo dell’oil (ammesso, e non concesso che possa essere conseguito) sia unicamente un plus per un economia globale che inizia ad assuefarsi a questa nuova realtà. Naturalmente un rialzo dell’oil sarebbe positivo per il settore, e per i paesi produttori. ma che dire dei consumi, che sono stati, in particolare in US, il principale driver della crescita? E poi, dovesse esserci un impatto sull’inflazione, questo non leverà margine di manovra alle banche centrali.

Sto fantasticando, ma non credo che un oil che torna a 65$ sia un unicamente toccasana in questa fase.

Anche l’Asia, di primo acchitto, si è giovata del balzo dell’oil. Il risk appetite ha dato un po’ di respiro al $/Yen e Tokyo ha accelerato trainata dal settore energy. Sul resto degli indici i progressi sono stati analoghi in media a quello dell’S&P 500.

Decisamente superiore, per motivi non del tutto chiari, l’entusiasmo mostrato dal parte degli indici europei stamattina. L’Eurostoxx si è portato sul + 1.4% naturalmente trainato dall’Energy e dalle basic resources. D’altro umore i bonds, che hanno dovuto assorbire, oltre all’oil, anche un CPI tedesco di settembre leggermente sopra attese, e dei buoni dati di Business e Industrial confidence per settembre.

In US, la revisione del GDP del secondo semestre ( a +1.4% da prec +1.1% e vs attese per +1.3%) ha portato in dote una riduzione dell’effetto negativo di scorte e canale estero, e un aumento degli investimenti, bilanciati da una riduzione al ribasso dei consumi. Non che il quadro generale cambi granchè, con le speranze di un GDP annuo in area 2% che riposano su un accelerazione negli ultimi 2 trimestri. Bassi come al solito i jobless claims, mentre le pending home sales di agosto hanno deluso.

Il vero showdown sul macro lo avremo la prossima settimana, con i PMI finali di settembre, i 2 ISM e i payrolls US di settembre.

A prescindere dal macro, i mercati hanno perso gradualmente momentum nel pomeriggio, con l’Europa che ha visto sfumare interamente i cospicui guadagni accumulati in mattinata, senza un ovvio catalyst.

La faccenda si è alquanto aggravata dopo la chiusura europea, apparentemente in seguito alla comparsa di un pezzo di Bloomberg in cui si rivela che alcuni clienti di Deutsche bank (Londra: 0H7D.L - notizie) avrebbero ritirato cash e collaterale dal prime brokerage e spostato i trades in derivati OTC presso altri brokers. Lo spettro di una nuova Lehman ha prodotto un brusco selloff, con l’azione giunta a -6%, il future settoriale a -3 e Wall Street a -1%, mentre i futures su Eurostoxx e Dax hanno segnato rispettivamente -1.3% e -1.6%. Domani si prospetta un po’ di bagarre sul settore bancario europeo, con ogni probabilità.

Personalmente, trovo il paragone con Lehman totalmente sproporzionato e fuori luogo. Lehman è stata quella istituzione che, tra gli appartenenti ad un settore totalmente in bancarotta, è stata fatta fallire, per dare un cadavere in pasto alla politica, che avrebbe dovuto autorizzare un bail out generale di, se non erro, 700 miliardi di dollari. Il solo fallimento di AIG, il colosso assicurativo salvato con un finanziamento di 85 miliardi di dollari, avrebbe mandato a gambe all’aria l’intero sistema bancario, mentre varie istituzioni (Countrywide (Francoforte: A1H56R - notizie) , Merril, Bear stearns etc) si sono salvate tramite aggregazioni sponsorizzate dalle autorità.

Non si può dire lo stesso del settore bancario europeo, i cui problemi derivano, almeno in parte, dalle richieste dei regulators, che, proprio a causa della crisi, richiedono buffer di capitale sempre più elevati e un controllo dei rischi sempre più stringente, a detrimento di una profittabilità messa alla prova anche dal contesto di tassi eccezionalmente bassi.

Un problema complessivo di redditività quindi, e non di solvibilità. Poi alcuni istituti si trovano, per problemi specifici in cattive acque. Deutsche Bank, in particolare, ha le dimensioni per essere considerata sistemica. Detto questo, ipotizzando che i problemi non siano risolvibili con capitali privati (cosa per nulla certa), ormai esiste una legge di risoluzione/bail out pubblico che, pur spalmando parte delle perdite su alcune categorie, ne regola il risanamento o la liquidazione.

Tutto ciò non per dire che eventuali problemi bancari a DB o altrove sarebbero una passeggiata per i mercati, ma solo che il paragone con la grande crisi finanziaria è al momento totalmente improprio.

Autore: Giuseppe Sersale Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online