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Spread, cosa succede ai nostri titoli di Stato se la febbre sale ancora

Il presidente della Bce, Mario Draghi (REUTERS/Kai Pfaffenbach)
Il presidente della Bce, Mario Draghi (REUTERS/Kai Pfaffenbach)

Una boccata d’ossigeno. Nella mattinata lo spread cala, scendendo fino a 292 punti e abbandonando la soglia dei 300 punti base dei giorni scorsi. Il calo è dovuto alla decisione di S&P che non ha declassato l’Italia, ma ha solo rivisto outlook in negativo. Ma cosa accadrebbe se il differenziale tra Btp e Bund tedeschi dovesse superare quota 400? Non è facile rispondere.

Tutto può succedere

Il presidente della Bce, Mario Draghi, giovedì scorso si è detto “ottimista ma non molto ottimista” sulla possibilità di un compromesso tra Roma e Bruxelles. L’Eurotower non interverrà una volta terminato il quantitative easing, a fine dicembre. Uno spread alto, attorno ai 400 punti base, alla lunga non è sostenibile per il nostro sistema finanziario.

I rendimenti

Un Btp a 10 anni rende il 3,5 per cento l’anno, un tasso che non ha uguali negli altri Paesi industrializzati. Per fare un paragone, il T-Bond Usa decennale offre un interesse del 3,12 per cento. Il minor rendimento del titolo di Stato Usa rispetto ai Btp, è un chiaro segnale di come il nostro Paese sia considerato non privo di rischi.

L’indebitamento

L’alto indebitamento italiano, superiore al 130 per cento del Pil, non è un problema che si è palesato con la Legge di Bilancio. Certamente l’ostilità di Bruxelles, però, ne ha amplificato la portata. Il nostro debito pubblico è però di soli 30 miliardi più alto rispetto a quello della Francia, a cui la Commissione Ue consento uno sforamento del 2,8 per cento nel rapporto deficit-Pil. Per valutare gli effetti degli scontri tra Roma e Bruxelles, occorrerà aspettare le prossime settimane. E sperare che lo spread non metta in ginocchio il sistema bancario.

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