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E’ stato un voto anti-UE? Sì

I commentatori di fede europeista stanno, in queste ore, cercando di consolarsi argomentando che il referendum costituzionale “non ha espresso un voto contro l’Europa”. Non era in discussione, si dice, l’appartenenza dell’Italia alla UE o l’uscita dalla moneta unica.

Certo che no. Ma indiscutibilmente, il risultato riflette in larga misura non tanto un giudizio sulla riforma costituzionale (per quanto dubbia, pasticciata, confusa) bensì un generale disagio prodotto dall’inaccettabile situazione economica e sociale in cui si trova l’Italia.

Che questo disagio sia fortissimamente connesso alle disfunzioni dell’eurosistema è un fatto. Possiamo discutere su quanta parte dell’elettorato abbia chiaro il nesso, ma il rapporto causale è evidente: sto male, o mi sento insicuro, e quindi dissento da quanto il governo mi propone, perché non ho fiducia nella sua capacità di uscire dalla situazione attuale.

Il tema non è “quanti italiani vogliano uscire dall’Europa” (impossibile salvo smottamenti di placche tettoniche…) ma come sia possibile avviare una vigorosa ripresa dell’economia, generare occupazione, ridurre il disagio sociale. E la risposta è che non lo sarà finché si continueranno a seguire le “prescrizioni” UE e non ci si svincolerà dall’attuale euroarchitettura.

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Le modalità e i percorsi possibili sono di vario tipo. E’ indispensabile uscire dalla UE ? no, ma solo se la UE ritorna a essere, nella sostanza, quello che era la CEE: un sistema lasco (rispetto all’attuale) di accordi finalizzati alla cooperazione economica e al libero scambio. Non una tecnoburocrazia che pretende di sottrarre potere agli stati in vista della chimerica creazione degli Stati Uniti d’Europa.

Chimerica perché totalmente fuori dalla realtà, in quanto i tedeschi per primi non la desiderano – per loro la UE è uno strumento di perseguimento dei propri interessi nazionali, o più precisamente delle loro elites finanziaria e soprattutto industriali. E poi perché ne mancano, comunque, pressoché tutte le condizioni.

E’ indispensabile “rompere” l’euro ? no, ma solo se ne vengono superate le disfunzioni e i vincoli. In mancanza di qualsiasi volontà politica di rinegoziare i trattati, l’unica alternativa al break-up è l’emissione di strumenti monetari nazionali, gestiti in piena autonomia dai singoli stati.

Il passaggio politico, non banale ma indispensabile, è formare un governo non guidato dal PD. Perché il PD ha dimostrato di non potere o volere emanciparsi da Bruxelles: a causa di quali condizionamenti e collusioni è complicato stabilirlo, e forse non ne vale nemmeno la pena. Ma è un fatto, e l’esperienza del governo Renzi lo dimostra.

Autore: Marco Cattaneo Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online