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Stefano Boeri: "La città del futuro? Un arcipelago di borghi che ci riavvicina alla natura" (di M. Garofalo)

Urbania, di Stefano Boeri (Photo: Urbania, La Terza)
Urbania, di Stefano Boeri (Photo: Urbania, La Terza)

Un virus si aggira per il mondo. Varianti o meno, la pandemia ci ha strappato affetti, amici, persone care. Ha modificato i nostri concetti di tempo e spazio. Ma questo per alcuni aspetti non è stato del tutto negativo. Nel lockdown ci siamo resi conto della precarietà degli equilibri in cui viviamo. Come sarà il futuro che ci attende, in città o “fuori”? Lo abbiamo chiesto a Stefano Boeri, uno dei più influenti architetti e urbanisti italiani, appena uscito in libreria con Urbania (editori Laterza, euro 18), un testo sull’utopia, una narrazione sulle metropoli del futuro.

Urbania parte da un’analisi del concetto di tempo.

“Tempo fa si parlava di “futuro istantaneo”, una sorta di collasso del futuro. Oggi questo collasso lo abbiamo vissuto in maniera spettacolare: siamo passati dalla proiezione del ’68 su un futuro migliore a un’idea di un futuro-rigagnolo schiacciato sul presente, legato al timore dell’estinzione, dell’emergenza climatica. Accanto al tempo oggettivo e a quello soggettivo esiste però una terza sfera di interpretazione, racchiusa nel concetto di tempo polifonico: dovremo sempre più avere percezione dei tempi che ha la totalità delle forme di vita. Il tempo che abitiamo, è nostro tanto quanto lo è delle altre specie. Come ha scritto Papa Francesco nella sua enciclica Laudato Sì, l’interpretazione del tempo è sempre più importante dello spazio”.

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Prima della pandemia il filosofo Michel Onfray aveva, provocatoriamente, parlato della possibilità di uno spopolamento di ritorno dalle città alle campagne: accadrà?

“Collocherei questa ipotesi sul versante dell’oscillazione più che dell’abbandono: penso a un criterio potenzialmente capace di ricostruire la medesima intensità e i servizi delle città, ma altrove: dove? Nei piccoli borghi. Si tratta di immaginare diverse prospettive, e possibilità, nuovi modelli di sviluppo, che stanno prendendo piede in Francia, Germania. Possiamo immaginare le città come arcipelago di borghi. È ancora potenzialità, non una realtà, eppure la pandemia ha innescato in molti di noi una maggiore consapevolezza”.

La ritiene una possibilità concreta?

“Come presidente della Fondazione La Triennale di Milano mi accorgo che è già così: molti nostri collaboratori oggi vengono in studio per confrontare i progetti, le idee, scambiare le emozioni, ma gran parte del loro lavoro viene prodotto altrove. Esiste dunque uno spopolamento che non è abbandono delle città, quanto un’oscillazione. Resa possibile da città-arcipelago, reti esterne di piccoli centri e borghi agricoli, che devono rimanere quello che sono nel senso più identitario e morfologico del termine, oltre che in chiave di circuiti economici e produttivi; in Italia per esempio, per come è geograficamente conformata, sono pochissimi i borghi storici lontano dal centro urbano, quindi un’oscillazione è possibile”.

Come si potrebbe realizzare un’ipotesi del genere?

“Se Milano si mettesse seduta a un tavolo con i comuni dell’Oltrepò pavese, o Genova con i paesi della città metropolitana dopo Chiavari, o ancora Macerata con i piccoli centri delle Marche, e se a quello stesso tavolo si mettessero seduti sindaci, commercianti, grande distribuzione organizzata, i ceo delle aziende, i rettori degli atenei, si potrebbe fare un accordo che scambi la domanda di delocalizzazione dei dipendenti con i fondi per la ristrutturazione dei borghi, il sostegno ai servizi, la banda larga. Buon cibo e acqua potabile contro lavoro intellettuale delocalizzato in rete”.

Urbania è un’utopia: nel libro ipotizza un forum online che parlerà dei problemi del genere umano dopo la pandemia. Quali sono le 3 parole chiave del mondo nuovo?

“La prima è reciprocità. Dobbiamo imparare a metterci nella prospettiva dell’altro, guardare il mondo con gli occhi degli altri: abbiamo bisogno di pensare alle città come elemento di moltiplicazione dei punti di vista. La seconda è connessione. Si tratta di un progetto insieme visionario e riformista, migliorare le cose a partire da quel che abbiamo già di positivo e connetterlo: connettere il verde dei boschi verticali e i parchi, i giardini dei viali con le migliori esperienze e le città-arcipelago. È un processo che moltiplica forze ed energie. La terza è unknown, ciò che non sappiamo di non sapere. Tempo fa organizzammo un simposio con un gruppo di esperti, ricordo che a un certo punto l’oceanologo disse che, di fatto, conosciamo solo il 5% degli oceani, lo stesso fece l’astrofisico che disse che forse sappiamo solo del 5% dell’universo, e lo stesso 5% riguardava le sinapsi cerebrali. Cosa significa tutto questo? Che non abbiamo più un’idea del centro, è un concetto che è saltato. Misuriamo il vicino, lavoriamo sull’istantaneo, mentre invece per approdare al futuro avremo sempre più bisogno di misurare il tempo lungo”.

Urbania, di Stefano Boeri (Photo: Urbania, La Terza)
Urbania, di Stefano Boeri (Photo: Urbania, La Terza)

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.