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Tabarelli: "Serve un tetto ai profitti, senza interventi la bolletta del gas su del 70%"

Davide Tabarelli (Photo: LUIGI MISTRULLIANSA)
Davide Tabarelli (Photo: LUIGI MISTRULLIANSA)

“La materia va maneggiata con cura visto il pasticcio che fu fatto nel 2008 con la Robin tax per colpire le compagnie petrolifere, ma chiedere qualcosa ai produttori di energia è un atto dovuto. Anzi andava preteso prima”. La materia di cui parla Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia e tra le voci più autorevoli in Italia sul tema dell’energia, è il contributo che Mario Draghi ha chiesto ai grandi produttori che stanno facendo “profitti fantastici”. Perché, come ha spiegato lo stesso premier, i costi delle rinnovabili sono molto più bassi di quelli per il gas, eppure l’energia viene venduta allo stesso prezzo di quella prodotta con lo stesso gas. Mentre le bollette lievitano. “Quello che si può fare subito - dice Tabarelli in un’intervista a Huffpost - è fissare un tetto massimo ai prezzi di vendita per fare in modo che una parte degli incassi delle società vada a calmierare le bollette”.

Partiamo dal problema: le bollette. Qual è il livello dei rincari che dobbiamo aspettarci nel primo trimestre del nuovo anno?

Ogni giorno ci sono fluttuazioni, ma il trend che vediamo è quello di un aumento costante. Alla fine del primo trimestre del 2022, in assenza di interventi, avremo un rincaro del 70% per il gas e del 50% per la luce.

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Gli interventi, appunto. Draghi ha chiesto un contributo ai grandi produttori di energia. In Spagna, dove il governo ha pensato di tassare gli impianti che non emettono CO2, non è finita benissimo. Come si può concretizzare questo impegno da parte delle società?

Innanzitutto si può agire con dei decreti legge per il futuro, non in maniera retroattiva altrimenti le società ricorrerebbero al Tar. Quello che si può immaginare di fare subito è fissare un tetto massimo ai prezzi di vendita in Borsa dell’elettricità prodotta da fonti rinnovabili.

Quale vantaggio si otterrebbe?

Prendiamo un impianto idroelettrico che butta in Borsa un megawattora a 400 euro. Se si introduce un tetto, quell’impianto potrà prendere al massimo, ipotizziamo, 100 euro: i 300 euro di differenza andrebbero alla cassa servizi energetici che gestisce gli oneri di sistema. In questo modo quei soldi non andrebbero all’impresa, ma verrebbero riversati nelle misure che servono per calmierare il prezzo delle bollette”.

Chi si va a colpire con un tetto ai prezzi?

La finanza che è dietro buona parte degli aumenti. I fondi che investono sul mercato del gas al rialzo sono le stesse banche che hanno investito nei titoli azionari delle società dell’energia.

Chi garantisce che l’importo chiesto all’impresa sia quello corretto?

Il bello della produzione elettrica è il fatto che, a differenza del petrolio e del gas, è perfettamente misurabile fino alla quantità più piccola. Attraverso i contatori sappiamo tutto e in questo modo si può calibrare al meglio la misura.

Un contributo da parte delle società è imprescindibile?

Chiedere qualcosa ai produttori di energia è un atto dovuto. Anzi andava preteso prima.

Draghi ci ha messo la faccia.

Ha fatto più che bene. Quello che dice il premier è molto semplice: i costi di produzione dalle rinnovabili sono bassissimi. L’idroelettrico costa pochissimo, cinque euro a megawattora, mentre il prezzo dell’energia prodotta ieri, nelle ore di punta, è arrivato anche a 530 euro, cento volte di più. Le rinnovabili nuove, cioè il fotovoltaico e l’eolico, prendono gli incentivi e a volte vendono pure sul mercato libero. Anche qui la dinamica è la stessa: costi bassi, incassi enormi. La produzione elettrica da rinnovabili è stata di oltre 120 terawattora: di questi 44 sono idrolettrico con costi di produzione di 5 euro per megawattora.

Torniamo allo strumento. Il tentativo di tassare le imprese low carbon in Spagna non è andato a buon fine. Non si rischia un flop anche in Italia?

Le ragioni che hanno spinto il governo spagnolo ad agire sono sacrosante perché a Madrid c’è molto idroelettrico: i prezzi erano schizzati ed era evidente che gli operatori ci stavano guadagnando. Ma bisogna tenere conto del fatto che le tasse non posso essere aumentate con troppa leggerezza.

Cioè?

Non bisogna ripetere l’errore della Robin tax. Quello fatto nel 2008 per colpire le compagnie petrolifere fu un pasticcio storico, la Consulta è arrivata a dichiararla incostituzionale. Fu una misura che generò una grande confusione, pochi incassi e moltissime divisioni. Dobbiamo evitare di replicare quel precedente: per questo la strada possibile è quella del tetto ai prezzi di vendita per i prossimi mesi.

Il tetto ai prezzi non rischia di generare gli stessi problemi che deriverebbero dall’introduzione di una tassa?

La materia è delicata e in ogni caso va maneggiata con cura. Bisogna stare attenti, agire con attenzione. È evidente che la questione va posta a livello europeo, dove si sente l’assenza di un organo in grado di intervenire anche per bloccare i mercati. Anche le Borse ogni tanto schizzano e le autorità intervengono. In questo caso, invece, c’è silenzio. Bisogna agire.

Non si rischia di vanificare il risultato se si porta la questione in un’Europa che sull’energia è divisa?

È il mercato che è europeo. Possiamo inventarci qualcosa da soli, ma vanno avvisati anche gli altri Paesi, oltre che i mercati. Dovrebbe essere la Commissione europea a raccogliere queste sollecitazioni, magari da parte di Draghi, la figura più autorevole oggi nell’Unione europea. La Commissione, invece, ora è dominata dagli ambientalisti, a sua volta è il riflesso di un Parlamento eletto con una forte pressione verde.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.