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Treni e sussidi pubblici, se la spesa italiana è eccessiva

Un paper di Arrigo e Di Foggia per l'Istituto Bruno Leoni compara i costi nei Paesi europei

Ferrovie

I sussidi al trasporto ferroviario non sono certo una realtà solo italiana, semmai una costante in molti Paesi. Tuttavia, secondo lo studio dei docenti Ugo Arrigo e Giacomo Di Foggia, per l'Istituto Bruno Leoni, dal titolo, L'alta velocità della spesa pubblica ferroviaria-Un contributo alla spending review, la spesa pubblica ferroviaria italiana negli ultimi 21 anni, di fatto quelli della seconda Repubblica, ha raggiunto livelli stellari, pur essendo il contesto italiano inferiore per ampiezza dell'infrastruttura e numero dei passeggeri a quello di diversi Paesi europei. Secondo lo studio, la spesa italiana si attesterebbe su 207,7 miliardi di euro, senza valutare gli aspetti di rivalutazione monetaria.

Il paragone con altri Paesi rivela che in Francia sono stati spesi, nello stesso arco di tempo, 153,6 miliardi,  in Gran Bretagna, 69,3 miliardi di euro, quasi a parità di rete con quella italiana; in Germania invece nell'arco di tempo compreso tra il 2002 e il 2010, la profusione di denaro ammonta a 88 miliardi totali, sono quindi 9,8 miliardi annui in media. Nel medesimo periodo l'Italia ne ha spesi 85 ma, scrivono gli studiosi, “il settore ferroviario tedesco è due volte e mezzo quello italiano”. In base agli standard medi di questi Paesi, nell'ultimo anno disponibile, il 2012, l'esborso totale italiano avrebbe dovuto attestarsi, a 3,8 miliardi di euro, e non a 7,6 come è stato nei fatti.

Lo studio si basa sui dati che rivelano i sussidi in via diretta, in base quindi a fonti nazionali dei paesi esaminati, e quindi, report dei ministeri di settori, dei regolatori, bilanci dei gestori delle reti e dei servizi; i sussidi che possono essere rivolti alla rete oppure ai servizi di trasporto, con una pluralità di fini, ma con l'obbiettivo comune di contribuire al benessere collettivo.

La spesa insomma può avere motivi legittimi, ma quando diventa eccessiva? Come spiega Giacomo Di Foggia, docente di Economia Politica presso l'Università Bicocca, a Yahoo!Finanza, “non è detto che nel periodo precedente a quello analizzato, i sussidi non siano stati anche maggiori. La correlazione con il benessere non è correlata alla spesa e basta, in quanto, come dimostriamo prendendo altri Paesi in considerazione, ci sono contesti dove il benessere ha raggiunto un livello maggiore, ma con riduzione delle tasse e del debito pubblico. I sussidi sono divisibili per spese correnti e investimenti, ma se guardiamo al periodo di tempo dal '92 a oggi, gli investimenti italiani sono stati superiori ad altri Paesi per le infrastrutture, ma la rete è cresciuta meno. In Italia è cresciuta di 700 km, in Germania di 1200, in Francia di 1300, in Spagna di 1600 km. Di contro, assistiamo però a una riduzione del traffico a fronte di Paesi dove i passeggeri totali aumentano o raddoppiano. Facendo una stima alla fine di quelli che dovrebbero essere i sussidi, si nota che in media, nel 2012, usando a ad esempio uno standard di tipo britannico, avremmo dovuto spendere non 7 miliardi, ma 4.” E' giusto fare un paragone con le altre realtà europee, che si presentano morfologicamente diversi per quanto riguarda la presenza di attori, nel settore ferroviario?

Ad esempio, il trasporto ferroviario britannico ha subito un profondo cambiamento negli anni '90, dopo decenni in cui  il gestore nazionale ha goduto di sovvenzioni dirette, oltre a prestiti provenienti dal National Fund Loan, per finanziare gli investimenti.In seguito, con la riforma Major ha visto la separazione tra gli attori dei servizi di trasporto sulla base delle loro funzioni, di fatto la scissione del monopolista pubblico.Come argomenta Di Foggia, “il caso britannico è stato molto criticato e nel breve periodo ha portato anche a una riduzione di addetti, ma nel lungo periodo si è colmata la perdita iniziale”.

 Nel caso italiano invece, “chi gestisce la rete possiede chi la utilizza,  quindi di fatto paga a se stesso. Se per utilizzare una rete devo pagare un canone mi trovo davanti a un fattore che impedisce ad altri operatori di provarci”.

Tra le vie da percorrere ci sarebbe quindi la separazione di chi gestisce la rete da chi la utilizza, ma come deve avvenire quest'evoluzione, con un intervento statale? “Non si tratta solo di un intervento statale ma di un indirizzo comunitario, come prescrive il quarto pacchetto ferroviario statale Ue (una serie di proposte legislative che mirano ad aprire i mercati ferroviari nazionali e a raggiungere l'armonizzazione tecnica nel settore del trasporto ferroviario europeo, ndr). Il caso italiano non è unico nel suo genere, ma anche altrove c'è interesse a far combaciare chi gestisce la rete e chi il servizio. Non mancano i pacchetti ferroviari ma quelli emanati giacciono in una palude, anche per pressione delle lobby”.

Come spiega Di Foggia, non si tratta di aprire solo il mercato ma anche di poter valutare meglio i risultati, perché “quando non c'era l'authority, chi ha potuto valutare l'operato di Fs? Nelle situazioni in cui chi gestisce rete e servizio è l'operatore pubblico è anche difficile valutare come vengono gestiti i sussidi. Se tu sei in perdita e lo Stato ripiana, ovvio che poi gli indicatori economici siano positivi e puoi usarli come benchmark nei confronti di altri, anche all'estero”. Cosa suggerisce allora per abbassare le spese? “Sicuramente vanno razionalizzati gli investimenti e bisogna valutare bene a chi vanno i sussidi, se non creano distorsione delle dinamica di mercato in alcuni settori, come l'alta velocità ad esempio”.

Posto invece che le tariffe di pedaggio  non servono a rientrare nei costi per attuare un buon esercizio delle reti, come valuta le tariffe italiane? E' vero che sono tra le più basse? “La risposta è nì. Saranno anche la metà di quelle inglesi ma quelle sono rapportate al costo della vita. Poi, certo Londra-Manchester costa il doppio, ma quanto è pagato un lavoratore dell'industria in Inghilterra? E' da vedere se siano basse, quelle italiane. Di certo in Inghilterra non trovano il bagno rotto sulla carrozza”.

Il paper di Arrigo e Di Foggia per l'Istituto Bruno Leoni ha sollevato la reazione di Fs, che sostiene come i costi dello Stato per le corse dei treni non vadano confusi con gli investimenti della rete, che non entrano nei bilanci dell'azienda e che il termine sussidi è inappropriato, e che gli indizi di efficienza sono tra i migliori di Europa, con margini del 23,5% contro il 18,5% della Francia e il 13% della Germania. Ma, ribattono gli autori, se è così, tanto più andrebbero rivisti i trasferimenti pubblici, forse eccessivi per un servizio reso alla collettività che funziona bene. E la vicenda continua.