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Tutti i nemici (molto potenti) del Presidente

Per ironia della sorte, la prima guerra che Donald Trump si trova a dover combatter non è quella commerciale con la Cina o il Messico (per quanto non è minimamente escluso che ci possano essere nell’immediato) e, forse, nemmeno quella valutaria ( come sopra) bensì quella interna.

La prima guerra di Trump

Per la precisione sia quella con il Congresso, a maggioranza repubblicana ma ben lungi dall’appoggio incondizionato sulle sue idee, ma, ancora prima, con Cia (Londra: 25754.L - notizie) ed Fbi. I recenti scandali, o per meglio dire i presunti tali, a sfondo sessuale, hanno fatto il paio con gli altri, di natura politica, che lo volevano appoggiato dai servizi segreti russi i quali, tramite attacchi hacker, lo avrebbero favorito nella vittoria, grazie a materiale scottante a carico di Hillary Clinton e dei democratici. In realtà, però, i russi, ovviamente, non si sarebbero limitati a trovare prove contro la Clinton ma avrebbero anche raccolto qualcosa di pericoloso contro lo stesso Trump. Fatica non certo immane visto il personaggio e le sue burrascose abitudini finanziarie oltre che personali. Da qui lo scambio d accuse e sospetti tra il repubblicano e le organizzazioni di intelligence statunitensi, Cia ed Fbi appunto, con l’ultima scintilla rappresentata dall’intervista nella quale il numero uno della Cia, John Brennan, avrebbe consigliato a Trump di “moderarsi” nelle dichiarazioni e anche nell’invio dei Tweet.

La Cina non è vicina

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Dal canto suo, Trump, uomo notoriamente vendicativo, ha già trovato il modo per farsi odiare sia dalla Cia che dall’Fbi: i budget delle agenzie in questione, avrebbe dichiarato, sono troppo elevati e, quindi, sarà necessario tagliare molte spese.

Resta poi la questione aperta con la Cina. Il paradosso arriva da una forza comunista che, sebbene non elogi direttamente la globalizzazione, di sicuro non la condanna. Se non altro per un motivo di tornaconto personale: non essend più una potenza produttrice per il resto del mondo ma volendo basare la sua economia sui consumi interni, Pechino si trova costretta a dover smaltire in un modo o nell’altro la sua iperproduzione, la stessa che, adesso, ha subappaltato al resto dell’Asia sud orientale. Ma se il mondo occidentale è guidato economicamente dagli Usa, e questi sono contro la Cina, come si riuscirà a centrare l’obiettivo? Una tegola ulteriore arriva dagli attacchi di Trump alla Germania, a sua volta sostenitrice dei trattati di libero scambio che il repubblicano vorrebbe rivedere, se non addirittura abolire, e che invece tengono in vita gran parte (anche) del commercio cinese.

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