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Uberizzazione: l'economia e il lavoro della disintermediazione

Se chiedete ad amici o conoscenti qual’è la professione più odiata ed invidiata al tempo stesso con grande presunzione vi dirà la figura del notaio pubblico, almeno in Italia. Per l’opinione pubblica infatti i notai percepiscono redditi molto elevati esclusivamente in forza di una posizione di rendita ed assenza di concorrenza. Ricordo che quando ero adolescente la figura del notaio era esaltata e stigmatizzata al pari di un vassallo durante il feudalesimo. Effettivamente queste figure professionali non sono responsabili in astratto della produzione di valore aggiunto in favore di un ecosistema produttivo, si limitano piuttosto a parassitarlo in forza di disposizioni normative che sanciscono il loro ruolo di pubblico ufficiale e soprattutto i compensi che ad essi sono dovuti. Persino nel cinema all’interno di numerose commedie italiane viene rappresentata spesso la macchietta del notaio italiano come il riccone di turno che ha fatto il grano grazie alla sua posizione e non per la sua intelligenza o capacità. Tuttavia per quanto sia fastidioso e frustante corrispondere a tali figure professionali elevati onorari per atti e transazioni a visibilità pubblica abbiamo la consapevolezza che questo si verifica veramente poche volte durante il corso della nostra vita, ad esempio per un’acquisto di un immobile, la cessione di un titolo di proprietà o una successione ereditarie. Oltre ai notai vi sono anche altre categorie professionali la cui protezione normativa sancisce la loro posizione di rendita a scapito della creazione di valore aggiunto. Penserete ad avvocati e dentisti, in vero mi riferisco ai tassisti.

Nelle passate settimane, in piena estate, è andata in scena in Spagna uno dei più grandi scioperi degli ultimi anni da parte di queste operatori economici protetti: Madrid, Barcellona e Valencia sono state messe in ginocchio dalla paralisi del settore del trasporto privato. Si arrivava in aeroporto o alla stazione dei treni confidando di chiamare un taxi per spostarsi successivamente al proprio rendez vouz e invece si rimaneva bloccati per ore interminabili cercando in qualche modo di soluzionare il tutto con i mezzi pubblici. Il danno turistico in termini di immagine per il paese iberico è considerevole, forse lo scorso anno qualcuno si ricorda lo sciopero degli assistenti di terra negli aeroporti spagnoli sempre nello stesso periodo. Le cause dello sciopero dei taxi che hanno rovinato le vacanze a decine di migliaia di persone oltre che aver creato disagio alle persone che lavoravano normalmente sono riconducibili a quattro lettere: UBER. L’azienda californiana che fornisce un servizio di trasporto automobilistico privato attraverso un’applicazione mobile che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti rappresenta una killer application per il settore dei tassisti convenzionali. In tutto il mondo ormai sono ben note le faide legali con governi e tribunali volti ad impedire che questa società possa effettivamente operare al fianco di chi esercita il lavoro del tassista tradizionale. Per quanto la propaganda mediatica tenda a proteggere i tassisti non dobbiamo mai dimenticare che tale categoria professionale rappresenta un soggetto economico che opera in regime di monopolio.

Può fare il tassista infatti chi possiede una licenza (in quasi tutto il mondo) e tali licenze ovviamente sono controllate e predeterminate numericamente in modo tale da garantire una certa redditività a chi le acquista (proprio come avviene per i notai). Questo è l’annoso nodo gordiano: se si accetta l’introduzione dei servizi di Uber in un ecosistema chiuso in cui il settore del trasporto privato è contingentato sin dalla sua nascita: si producono indubbiamente dei benefici per gli utenti finali (ad esempio come una maggior offerta di corse taxi con tariffe più basse), ma al medesimo tempo si porta ad agonia e morte economica tutti i tassisti che si sono indebitati per acquistare la licenza di cui sopra che consente una rendita economica in grado di far ripagare il debito. In America si direbbe che si tratta di un tipico caso di TINA ossia there is no alternative: non ci sono soluzioni, non esiste una proposta del tipo win-win. In un modo o nell’altro qualcuno ci perderà sempre. Negli USA dove Uber è presente ormai da diversi anni, si sono verificati centinaia di suicidi di tassisti nelle grandi città metropolitane a causa dei debiti contratti per acquistare una licenza taxi la quale tende ad avere un valore di mercato tendente allo zero man mano che Uber avanza come diffusione e consenso nel pubblico. Sul lato opposto vi è la gestione delle licenze che in molte grandi città è sostanzialmente lo stesso di quello di 20 anni fa, l’unico elemento distintivo ad esempio in Italia ed in Spagna sono i permessi per il noleggio con conducente che in qualche modo consentono di aumentare l’offerta, tuttavia non producono un abbassamento delle tariffe nel trasporto privato.

Si chiama uberisation ossia la fase di transizione di un sistema economico in cui molte risorse tangibili vengono rese fruibili a condizioni economiche più vantaggiose grazie ad una infrastruttura (solitamente una software platform o una mobile application) che consenta l’incontro tra la domanda e l’offerta in tempo reale. Ovviamente Uber ha fatto da apripista, ma se ci fermiamo un momento scopriamo che questo modello di impresa è stato adottato anche da altre grandi aziende mondiali che ci hanno cambiato la vita: AirBnB, TaskRabbit, CouchSurfing, KickStarter, BlaBlaCar e cosi via assieme ad altre centinaia. Questi operatori economici rappresentano i principali attori della sharing economy, un mondo in cui lentamente scompariranno gli intermediari assieme a tutti i soggetti a questi ultimi collegati. I tassisti tradizionali pertanto in un modo o in un altro scompariranno, magari un poco alla volta, facendo spazio a qualcosa di più pratico, comodo ed anche meno costoso. La stessa fine dovrebbero farla più avanti anche i notai, quando la tecnologia della blockchain sarà implementata universalmente, a tal punto basterà uno smart contract ed una identità digitale per effettuare la compravendita di un immobile o per trasferire la proprietà di una partecipazione societaria. Appaiono in tal senso molto difficili i tentativi normativi di congelare lo status quo nella speranza di proteggere attori di mercato ormai anti economici ed obsoleti in un mondo in piena e continua evoluzione. Dopo tutto, trent’anni fa nelle scuole superiori si insegnava stenografia, non mi pare che gli stenografi siano stati protetti oltre ogni limite di buon senso innanzi ai cambiamenti della società e del mondo del lavoro.

Autore: Eugenio Benetazzo Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online