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Ulivo due punto zero, M5s punto boh. "Il problema è capire chi siamo noi"

An anti-fascist demonstration called by the Italian trade unions after the assault by extreme right-wing groups on the CGL headquarters on October 16, 2021 in Rome, Italy.
The CGL, CISL and FILS unions were present at the demonstration. Closing the debates on stage was the president of the CGL, Maurizio Landini.
Many politicians took part in the demonstration, including Luigi di Maio, Giuseppe Conte, Pier Luigi Bersani and Roberto Gualtieri. 

 (Photo by Matteo Trevisan/NurPhoto via Getty Images) (Photo: NurPhoto via Getty Images)

“Non mi convince”, dice secco Carlo Calenda sul campo largo proposto da Enrico Letta, una coalizione che da Italia Viva e Azione arrivi alla sinistra di Leu, Movimento 5 stelle compreso. L’ipotesi al contrario non è affatto osteggiata da Giuseppe Conte, che in queste ore deve tuttavia destreggiarsi con la secca contrarietà di una larga parte dei pentastellati. Quello che viene definito il “Nuovo Ulivo”, o l’”Ulivo 2.0”, non trova terreno fertile da quelle parti. “Il problema non è capire cosa sia questo nuovo Ulivo, il problema è capire chi siamo noi” dice Federica Dieni, deputata di lungo corso. Il malessere scorre trasversale, il Movimento è un caos nel quale nessuno vuole scagliare la prima pietra. “Perché sono tutti in attesa delle nomine della segreteria – spiega un dirigente – sono tutti coperti e in fila per uno strapuntino”. Quella segreteria che qualcuno attende da qui a una decina di giorni, qualcun altro dice che servirà di più, molto di più, mentre il leader e il suo entourage mantengono il mistero, prassi ormai consolidata sin dai tempi del nuovo Statuto.

Una polveriera pronta a esplodere, mentre si rincorrono le voci di nuovi addii, “anche di insospettabili”, non una scissione politica, ma una serie di fughe alla chetichella “perché ormai siamo finiti”. Che la fosca previsione si avveri o meno, la contrarietà al campo largo è netta e diffusa. I pochi che accettano di uscire allo scoperto su questo sono netti: “Renzi? In Sicilia farà l’accordo con la destra, ha
fatto politiche di destra al governo, è legato a Denis Verdini: non so perché debba essere collocato a sinistra”. Perché così la pensa Letta, la facile obiezione. “Capisco benissimo che voglia tenere insieme tutto – la risposta – ma verrà il momento in cui dovremo decidere il perimetro di ogni possibile coalizione: siamo sicuri che serva Renzi?”. Il segretario del Pd lo è, Conte meno, ma è al lavoro più per cucire che per strappare. Il trailer di questo film è stato trasmesso in anteprima a Bologna, quando al momento di appoggiare il candidato Dem è stato detto senza mezzi termini o noi o loro.

Conte dice che a Roma e a Torino M5s andrà all’opposizione, un messaggio che ha lasciato disorientati tutti quelli che hanno in mente l’endorsement a Roberto Gualtieri e il ribadito progetto di dare vita a un nuovo centrosinistra, il leader fa una fatica bestiale a veicolare un messaggio coerente e a tenere insieme un gruppo che è sfaldato, che attende le nomine prossime venture come una possibilità personale di ottenere un podio e distribuire un po’ di potere o come
occasione ulteriore di attacchi e rivendicazioni”. Giarrusso dice che il voto “non è stato un disastro, ma è oggettivo che abbiamo perso due grandi città”. Chiede “un cambio di passo”: “Occorre ripartire dalle persone che ci sostengono sul territorio: il simbolo da solo non basta, mentre Conte, che è apprezzatissimo, non da tutti è associato al M5s”.

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Il claim delle piazze piene e delle urne vuote, un problema che già da prima del voto, e a maggior ragione dopo, assilla l’entourage dell’ex premier: come convertire il gradimento popolare in voti? Una domanda che per ora non ha una risposta, mentre un senatore spiega di avere il forte timore di “rischiare di diventare un ramoscello dell’Ulivo”. Sono in molti a non voler fare questa fine, e si rincorrono le voci di nuovi addii.

I parlamentari pugliesi in fibrillazione per l’attivismo del fedelissimo Mario Turco, un malcelato attivismo di scouting in vista delle prossime elezioni, reclutamento nella società civile che ovviamente restringerebbe ancor più la possibilità degli uscenti di rimettere piede in Parlamento. E corre insistente la voce che Conte
stia già mettendo la testa sui collegi uninominali, quali chiedere, quali trattare con il Pd, nella convinzione che scavallate le elezioni del presidente della Repubblica ogni momento sia buono per andare al voto. E proprio in vista del rinnovo del capo dello Stato i contiani vorrebbero una sostituzione del capogruppo alla Camera Davide Crippa, considerato lontano dal nuovo corso, per fare largo ad Alfonso Bonafede o a Lucia Azzolina?. Non sarà una passeggiata, a sentire un deputato: “Vogliono contarsi? Noi siamo pronti”.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.