Un italiano su due compra bio, fatturato sale a 7,5 miliardi (di G. Nespoli)
(di Giulio Nespoli)
Più di un italiano su due compra un alimento bio almeno una volta a settimana. Due su tre, se in famiglia ci sono bambini sotto i 12 anni. Una crescita del 5% rispetto allo scorso anno per il mercato interno e dell’11% per l’export: 4,6 miliardi di euro in Italia e 2.9 miliardi all’estero. Sono i dati dell’Osservatorio a cura di Nomisma diffusi a Sana, il salone internazionale del biologico alla fiera di Bologna. E’ un aumento che testimonia – si legge nella ricerca – l’allargamento progressivo della base dei consumatori che scelgono gli alimenti coltivati senza far uso di chimica di sintesi. La percentuale di chi ha comprato un cibo bio almeno una volta nel corso dell’anno è salita l’89%: era il 53% nel 2012.
Ormai quasi la totalità degli italiani sperimenta i prodotti ottenuti senza pesticidi (il 54% degli italiani tra i 18 e 65 anni consumano un prodotto bio almeno una volta a settimana), ma c’è un identikit dell’acquirente tipo: è un millennial, ha figli piccoli, un reddito discreto e un titolo di studio medio-alto. Il 76% ha adottato una dieta vegetariana o comunque ha uno stile alimentare non classico.
Se la motivazione principale che traina la volata del bio riguarda la salute, un ruolo crescente lo sta giocando la preoccupazione sulla crisi climatica. “Il metodo biologico si basa sull’arricchimento della fertilità del terreno: il suolo trattato in questo modo può trattenere fino a mezza tonnellata di carbonio per ettaro. Espandere questo tipo di agricoltura, come chiede l’Unione europea, significa dare un buon contributo alla difesa climatica”, si legge in un’analisi della Compagnia del suolo, la carovana (patrocinata da Ispra e sostenuta dalle associazioni che hanno promosso il progetto Cambia la Terra: FederBio, Legambiente, Lipu, Wwf, Isde Medici per l’Ambient, Slow Food) che sta percorrendo l’Italia per analizzare la presenza di residui chimici di sintesi nei terreni.
“Nella ricerca sui nostri campi sperimentali abbiamo rilevato differenze sensibili tra la quantità di sostanza organica presente nei suoli bio e in quelli convenzionali”, aggiunge Gabriele Campanelli, ricercatore del Crea di Monsanpolo, dove la Compagnia del Suolo ha fatto tappa all’inizio di settembre. “Nel corso dei 20 anni della ricerca il contenuto di sostanza organica nei suoli bio è passato dall’1,1% all’1,8% mentre è rimasto invariato in quelli convenzionali, che continuano ad aver bisogno di interventi consistenti contro gli attacchi di insetti e parassiti, che invece sono molto diminuiti nei campi dove non è stata utilizzata chimica di sintesi”.
Dai dati diffusi al Sana la leadership italiana nel settore risulta per il momento confermata: siamo al 16,6% di campi bio sul totale della superficie agricola coltivabile, una crescita del 5,1% rispetto all’anno precedente. Ma la strategia europea Farm to Fork, che ha fissato l’obiettivo 25% di campi bio al 2030, sta creando in altri Paesi un’accelerazione più netta.
“Nel corso del 2020 i campi bio in Germania sono cresciuti del 33%, in Francia del 13%, in Italia solo del 5%”, nota Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio. “C’è una domanda crescente del mercato a cui fatichiamo a dare risposta: già oggi il 34% dei cereali bio consumati in Italia viene dall’estero, nonostante Nomisma ci ricordi che i consumatori italiano preferiscono il chilometro zero. I ritardi nell’approvazione della legge di sostegno al settore rischiano di frenare lo sviluppo delle imprese: potremmo indebolire un primato che vale quasi 3 miliardi di euro di export e che ci pone in linea con gli obiettivi europei sul clima”.
Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.