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Un microchip sotto pelle: così il capo “spia” i lavoratori. Dall’Usa alla Cina, ecco i controlli tecnologici

(Getty)
(Getty)

di Fabrizio Arnhold

L’ultimo è il braccialetto elettronico di Amazon, per ora solo un brevetto, che velocizza la ricerca dei prodotti nel magazzino attraverso delle vibrazioni. La notizia aveva fatto indignare i sindacati e lavoratori. Il confine tra “controllo” e “sicurezza” per chi lavora si fa sempre più sottile.

Il chip sotto pelle

Il Guardian ha dedicato un pezzo sui nuovi strumenti tecnologici di controllo sul lavoro. Ne sanno qualcosa i settantadue dipendenti di Three Square Market, che l’anno scorso si sono fatti impiantare sotto pelle il “circuito integrato”, grande come un chicco di riso, durante un evento chiamato “Chip Party”. Che poi, alla fine, non è che sia proprio una festa perché il datore di lavoro, in cambio della comodità di ordinare un caffè alla macchinetta con il solo movimento della mano, è in grado di sapere quanto tempo il lavoratore impiega per berlo quel caffè. E quanto tempo passa sul computer, oppure in pausa. Insomma, con il chip è in grado di controllare i propri dipendenti.

In Cina

Alcune imprese stanno dotando gli operai di berretti che monitorano le loro emozioni, come rabbia, stress, benessere. Neanche fossimo in una puntata di Black Mirror. “Serve per garantire maggiore sicurezza e intervenire su quelli più stressati proponendo, quando è il caso, una giornata di riposo”, ha commentato al South China Morning Post Jin Jia, psicologa cognitiva dell’università di Ningbo.

In Svezia

La Epicenter ha impiantato nei suoi dipendenti, sempre in base ad un’adesione volontaria, un microchip che serve per azionare le stampanti. “Il vantaggio più grande è la comodità”, aveva detto con una certa soddisfazione il ceo Patrick Mesterton. Di contro, a parte farsi impiantare un corpo sotto la cute, c’è il rischio – anzi, in questo caso una certezza – di essere costantemente tenuti sotto controllo.

Più produttività o maggiore controllo?

L’ambizione di migliorare la produttività dei lavoratori sfocia, inevitabilmente, in un’azione di controllo. In Italia il microchip è riservato solo agli animali domestici perché “prevenire e proteggere la salute del lavoratore è sì un obbligo del datore di lavoro, ma non può farlo direttamente lui, si deve affidare a un medico terzo”, precisa l’avvocato del lavoro, Tommaso Targa dello Studio Trifirò & Partners. Perché alla fin fine, anche quando un dipendente riceve un benefit aziendale, come lo smartphone o il pc, implicitamente accetta che il datore di lavoro possa ficcare il naso nella propria vita. Anche fuori dall’ufficio.