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Un Patto senza austerity: la Ue ci pensa davvero

BRUSSELS, BELGIUM - JULY 15: EU Commissioner for Economy Paolo Gentiloni is talking to media in the Berlaymont building, the EU Commission headquarter on July 15, 2021 in Brussels, Belgium. EU Commissioners talked about the carbon border adjustment mechanism and the energy taxation. (Photo by Thierry Monasse/Getty Images) (Photo: Thierry Monasse via Getty Images)

Che Paolo Gentiloni volesse rivedere il Patto di stabilità e crescita era noto da quando fu nominato Commissario europeo all’economia. Già allora, era il 2019, epoca pre-pandemica, l’ex premier lanciò un processo di consultazione tra gli Stati membri sul tema. Poi è arrivato il covid. Ora, a recovery fund fatto e Patto di stabilità sospeso, l’Ue si appresta a entrare nel vivo di quella discussione, tra la fine del 2021 e l’anno prossimo, di pari passo con la realizzazione dei primi progetti dei piani di ripresa nazionali. È probabile che il tema emerga già alla riunione informale di Eurogruppo ed Ecofin venerdì e sabato prossimo in Slovenia, presidente di turno dell’Ue. Naturalmente, nessuna decisione verrà presa prima della formazione del nuovo governo tedesco in seguito alle elezioni del 26 settembre. Ma si può già dire che le ultime parole di Gentiloni sulla necessità di rallentare il ritmo del percorso di riduzione del debito siano molto meno teoriche rispetto a tre anni fa.

In mezzo c’è stato e c’è il covid. La media del debito tra i vari paesi europei non è più del 60 per cento del pil, come detta la soglia stabilita nel Patto, bensì del 100 per cento. Una realtà destinata a pesare sulle decisioni, così come è successo per la sospensione delle regole su debito e deficit l’anno scorso: non c’è stata alcuna discussione, la crisi del covid ha deciso per tutti, Patto sospeso fino alla fine del 2022.

“Dobbiamo pensare a come gestire l’alto debito dopo la pandemia”, sono le parole del Commissario Ue. “Quando il tetto del 60 per cento fu introdotto, rappresentava più o meno la media del debito tra i paesi europei”. Ora, “il 60 per cento deve rimanere l’obiettivo finale perché sta nei Trattati ma dobbiamo discutere il percorso verso questo obiettivo, le regole per quei paesi che superano abbondantemente questo tetto”.

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Ma non c’è solo questo dato di realtà nei calcoli di Gentiloni, sostenuti dal governo socialista di Pedro Sanchez in Spagna e dalla Francia di Emmanuel Macron, pur con l’incognita elezioni l’anno prossimo. La nuova riflessione sul Patto di Stabilità poggia anche sulla propensione di tutti i partiti tedeschi a spendere per incentivare l’economia green. Un programma, avvertito da tutti in Germania come una necessità, anche da quelle forze conservatrici più a disagio rispetto al ‘sacrificio’ del pareggio di bilancio imposto dal covid, vale a dire l’alleanza Cdu-Csu finora capitanata da Angela Merkel. In sostanza, se il prossimo governo tedesco vorrà spendere per riconvertire l’economia in senso sostenibile, tutti i ragionamenti che finora hanno impostato la governance europea sui binari dell’austerity avranno minori ragioni di esistere.

È questa la speranza del fronte europeo - principalmente sud Europa - che sostiene la linea Gentiloni. E, a quanto riferiscono fonti Ue, la speranza non è nemmeno di carattere strettamente politico. Il socialista Olaf Scholz, ministro uscente dell’Economia e candidato cancelliere per la Spd, è noto per le sue posizioni contrarie alla revisione del Patto di Stabilità che, a suo dire, contiene già tutta la flessibilità che serve per non abbattere i paesi ad alto debito. Dunque, non sarà lui il salvatore della causa dei paesi più indebitati, ammesso che prenda il testimone da Merkel alla luce dei sondaggi che lo danno in vantaggio rispetto al candidato della Cdu-Csu Armin Laschet. Non sarà Scholz l’asso nella manica dei paesi anti-austerity, bensì la realtà imposta dal covid, che con la sua crisi non ha fatto altro che amplificare la necessità di attuare il Green Deal, bandiera della presidente della Commissione Europea, la tedesca Ursula von der Leyen, già prima del covid.

Al Parlamento europeo ci sono già le impronte della nuova discussione. A luglio, l’Eurocamera ha approvato una relazione sulla riforma del Patto di stabilità in cui si chiede che i percorsi di riduzione del debito pubblico non siano più uguali per tutti, ma siano ritagliati su misura per ciascun Paese, e che il risanamento della finanza pubblica non debba avvenire a spese della crescita economica e della coesione sociale. Nella relazione si sottolinea inoltre il ruolo chiave degli investimenti pubblici e si chiede che essi siano esclusi dai vincoli europei. Il testo è stato votato dalla maggioranza dei partiti, anche dal Ppe, ad esclusione di Forza Italia che insieme a Lega e Fratelli d’Italia non l’ha votata.

“Per cambiare un patto di stabilità e crescita che anche prima del Covid aveva dato già dimostrazione di non essere un elemento su cui l’Europa poteva costruire competitività a livello globale, e anche tenuta e crescita sociale a livello interno”, servirà “un lavoro serio, approfondito”, dice il sottosegretario agli Affari Europei Enzo Amendola.

Di certo, è questa la ‘grande’ discussione che terrà banco a livello europeo nei prossimi mesi. Negli ambienti Ue, nessuno mette nel conto una riattivazione del Patto di Stabilità e crescita nel 2023 nelle forme in cui l’abbiamo conosciuto finora. Certo, come ha avuto modo di sottolineare Mario Draghi subito dopo la nomina a Palazzo Chigi, l’Italia dovrà dimostrare di saper far tesoro dei 200 miliardi di euro di fondi per la ripresa, dal Next Generation Eu. È la tattica per sedersi al tavolo negoziale con le carte in regola, ca va sans dire. Ma la sensazione è che il resto non lo decideranno i frugali del nord o i sostenitori della ‘flessibilità a tutti i costi’ al sud. Sarà la realtà del covid a imporsi su regole che scricchiolavano già prima.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.