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Una donna può far risorgere i gollisti. Che differenza con l'Italia!

Valérie Pécresse lors de la presentation du 18ème Festival 'Solidays' le 2 juin 2016, Paris, France. (Photo by Paul CHARBIT/Gamma-Rapho via Getty Images) (Photo: Paul CHARBIT via Getty Images)
Valérie Pécresse lors de la presentation du 18ème Festival 'Solidays' le 2 juin 2016, Paris, France. (Photo by Paul CHARBIT/Gamma-Rapho via Getty Images) (Photo: Paul CHARBIT via Getty Images)

Valérie Pécresse cita spesso Nicolas Sarkozy, durante la presidenza del quale fu ministro prima dell’Istruzione superiore e della ricerca e poi del Budget. Ma cita anche Angela Merkel e Margaret Thatcher, che prende a modello. Due terzi Merkel e un terzo Thatcher: così Pécresse dice di sé. Presuntuosa? Intanto con la sua vittoria alle primarie chiuse dei Repubblicani (Les Républicains, l’ennesima incarnazione dei gollisti francesi) ha portato a un rimescolamento delle carte nella competizione presidenziale. Anche se i sondaggi precedenti la sua vittoria le attribuivano solo un potenziale nove per cento, dietro non solo a Macron, ma anche a Marine Le Pen e all’estremismo radicale e catacombale di Eric Zemmour, ma davanti alla debole figura di Anne Hidalgo, candidata del Ps (Ifop, novembre 2021), i gollisti paiono rinfrancati da questa novità. Come ha osservato il politologo di Sciences Po Dominique Reynié, la posizione dei gollisti non è confortevole, stretti tra un macronismo che sul piano economico non è tanto distante dalle loro posizioni e il populismo dell’estrema destra, loro stessi abitati da tendenze diverse. Tuttavia, attorno a questa candidatura femminile, intenzionata a rassembler una famiglia in parte dispersa e in crisi ormai da troppi anni, risorgono nuove speranze. Gli eredi di de Gaulle (quelli veri, in mezzo ai tanti pretendenti che strattonano il fantasma del Generale) sembrano ora intenzionati a dare seriamente battaglia al presidente uscente e anche a riconquistare i consensi persi alla loro destra. Vaste programme, avrebbe detto il fondatore della V Repubblica. La capacità di Pécresse di costruirsi un’immagine credibile, a ormai pochi mesi delle presidenziali, sarà cruciale.

Il suo cursus honorum non ha nulla da invidiare ai suoi concorrenti: laureata in economia presso una prestigiosa Grande École, Enarca, consigliera di Chirac, come si è detto più volte ministro, con al proprio attivo la riforma dell’Università, parlamentare, eletta locale ai vari livelli, sino a diventare Presidente della Regione Ile-de-France nel 2015, carica che oggi ancora ricopre dopo la rielezione nel giugno di quest’anno. E alla quale si è dedicata intensamente in questi anni, a scapito della costruzione di una popolarità che avrebbe potuto giovarle nella carriera, a differenza di tanti altri colleghi maschi del partito. Non è un personaggio pop. Non troppo convincente con il suo stile un po’ manierato nei meeting, efficace nelle interviste televisive e nei dibattiti delle primarie. Perché precisa, competente sui dossier, decisa e veloce. Ora che la sua candidatura, che non troppi davano per probabile, è cosa certa ha immediatamente sfoderato un atteggiamento convinto da sfidante, sicura di sé, del proprio modo di fare e intendere la politica, della fondatezza della propria ambizione. Corre per vincere. E denuncia così facendo una chiara vocazione politica, una politica per cambiare le cose, come piaceva ripetere a Sarkozy. Conosce il russo. Come uno dei suoi modelli.

Con lei, i gollisti potranno forse riprendere un cammino interrotto nel 2017, quando non raggiunsero il secondo turno, e accidentato già da molto prima, dall’ultima fase della presidenza Sarkozy. Il cammino verso il recupero di un partito potenzialmente di governo e in grado di produrre présidentiables.

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Al primo turno delle presidenziali, che ormai si è trasformato in un’affollata vetrina di variegate ambizioni, vi sono anche altre donne. Ma ciò che è rilevante è che, tra le prime sei formazioni politiche francesi (stando ai risultati delle europee del ’19), tre saranno rappresentate all’appuntamento cruciale della primavera 2022 da donne. Due, Pecresse e Le Pen, ambiscono a vincere e al momento una vittoria dell’una o dell’altra non è impossibile. In particolare, se Le Pen sconterà il meccanismo – sempre più debole, ma ancora esistente – del barrage républicain contro l’estrema destra, Pecresse se riuscisse a raggiungere il ballottaggio (magari favorita dalla divisione della destra estrema tra Zemmour e la leader del Rassemblement National) avrebbe serie chance.

Che differenza con la nostra Italia! La Francia non è un paese scandinavo o anglosassone. Le donne ebbero il diritto di voto nel 1946, come le donne italiane e con grave ritardo rispetto a gran parte dell’Occidente. Il rapporto tra donne e politica rimane problematico. Eppure figure di vertice, autonome e ambiziose, si fanno ormai strada. Non possiamo non ricordare Christine Lagarde, attuale presidente della BCE, ministro con Chirac e Sarkozy, quattro anni al ministero dell’Economia. Nella vicina e per tanti aspetti simile Italia, invece, calma piatta. O quasi. Una sola donna è assurta al ruolo di leader politico, incidendo sullo scenario del panorama partitico: Giorgia Meloni. Che a un certo punto ha preso in mano il proprio destino politico lasciando Forza Italia e co-fondando un nuovo partito, del quale prende poi le redini. Sono passati sette anni da quando Meloni è divenuta presidente di Fratelli d’Italia e in tutti questi anni nessun’altra donna l’ha imitata. Donne parlamentari e ministro esistono, donne che fanno anche sentire la propria voce. Le ministre del governo Draghi hanno proprio nei giorni scorsi insieme presentato un disegno di legge sulla violenza contro le donne. Però. Però, a parte appunto Meloni, non incidono sulla scena politica e la competizione partigiana. Non contribuiscono a innovazioni, mutamenti, sorprese, nell’offerta politica. Nessuna che dica (e su questo pure Meloni è timida): ambisco a guidare il paese. Non osano, non sfidano, non uccidono padri e tutori. Talvolta alzano un po’ la voce, ma tutto si risolve poi in nulla. Stanno al loro posto, fanno in molti casi bene i loro compiti, ma non sorprendono mai. Perché per sorprendere bisogna inventare, e per inventare in politica bisogna rompere schemi, relazioni, fedeltà.

Cercare le cause di questo quasi assopimento femminile in politica non è semplice e cimentarvisi è rischioso: si rischia il luogo comune. Possiamo richiamare il peso di una società per tanti aspetti ancora culturalmente arretrata come la nostra. Che proietta i suoi condizionamenti sui processi di socializzazione, di uomini e anche donne, educate troppo spesso a stare sempre un passo indietro. Non aiuta, certo, il carattere un po’ ammuffito della politica italiana, fatto di partiti senza congressi, dove la competizione interna è fin troppo controllata da pochi che difendono le loro posizioni e chiudono ai nuovi arrivati, e le donne sono, nella nostra società arcaica, sempre tra le nuove arrivate. Non aiuta una cultura che nega autorevolezza alle donne perché tali e media che amplificano questo pregiudizio, raccontando uomini e donne della politica con linguaggi e prospettive colmi di preconcetti. D’altro canto, a raccontare la politica sono soprattutto uomini. O, per meglio dire, rimangono uomini coloro ai quali si attribuisce l’autorevolezza del giudizio. Conta anche, forse e purtroppo, la pigrizia di troppe donne che si accontentano del percorso che è stato loro consentito. E magari anche la scelta di donne dotate di vocazione, carattere e risolutezza di dedicarsi a strade diverse, dove i loro talenti non debbano essere mortificati.

Comunque sia, questo dominio maschile della politica, oltre che grave e iniquo, assume tratti sempre più grotteschi, mentre il mondo attorno muta. E visto il disastro in cui versa la politica italiana, è forte la tentazione di pensare che proprio quel dominio (che peraltro amplifica attitudini machiste, a loro volta legate a certe concezioni del potere, amato soprattutto per se stesso e non per ciò che consente di fare) di quel disastro porti qualche responsabilità. Ma il maschio politico può dormire sonni tranquilli: nonostante le tante chiacchiere il tema in Italia non è in agenda.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.