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USA: stimoli fiscali e deficit

A caval donato non si guarda in bocca. È così che i mercati azionari hanno brindato ai tagli delle tasse negli Usa, a cavallo tra la fine del 2017 e il 2018. Adesso (IOB: 0N5I.IL - notizie) , sembra che nessuno sia più preoccupato dei molti difetti che allarmavano alcune società prima che venissero effettuati i tagli. Una cosa è ormai chiara: in termini di utili societari, è valsa la pena aspettare. Per lo S&P 500, in generale ci aspettiamo un aumento degli utili del 7% per il 2018, presupponendo che un quarto del risparmio fiscale venga prima o poi trasferito su dipendenti e consumatori.

Valutare l'impatto a lungo termine è più difficile. I recenti stimoli fiscali sono, in qualche modo, davvero unici, come mostra il nostro "grafico della settimana". "Al di là dei periodi di guerra, è praticamente senza precedenti vedere un aumento del deficit di questa portata in un momento in cui l'economia è vicina alla piena occupazione e cresce al di sopra del suo potenziale", osserva Josh Feinman, U.S. Chief Economist di Deutsche AM. Normalmente, in queste circostanze economiche il deficit federale si riduce; questo è vero in gran parte di questo ciclo economico, dal momento che il disavanzo è sceso dal 9,8% del PIL nell'anno fiscale 2009 (dopo la Grande recessione) al 2,4% nell'anno fiscale 2015. Ma poi, stranamente, ha ripreso a salire, fino al 3,2% e 3,5% nei due anni successivi, poiché le entrate avevano deluso un po’, il contenimento della spesa si era allentato e le pressioni a più lungo termine per agevolazioni e aspetti demografici hanno continuato a crescere. Alla luce dei recenti cambiamenti fiscali, ci aspettiamo che il deficit federale quest'anno salga al 4,25% del PIL e al 4,75% nell'anno fiscale 2019. Questo accadrà quando la legge recentemente varata entrerà in vigore e, ovviamente, le sfide fiscali a lungo termine, in termini di spesa sociale, rimarrà irrisolta.

Niente di tutto ciò fa pensare che si possa verificare in tempi brevi una sorta di possibile crisi fiscale o resa dei conti. Questi gravi avvertimenti si verificano raramente in paesi che possono contrarre prestiti nella propria valuta. Il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan era solito scherzare: "Non sono preoccupato per il deficit, è abbastanza grande da badare a se stesso". Il vero problema è meno coinvolgente, anche banale. Più un governo durante i periodi di piena occupazione prende a prestito, meno saranno le risorse disponibili per altre cose tese a potenziare la produttività. I tassi di interesse aumentano e la crescita del capitale sociale della nazione rallenta. E tutto ciò limita la possibilità di stimoli fiscali durante le prossime fasi recessive.

Autore: Pierpaolo Molinengo Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online