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L'utente creatore? Non piace ai consumatori del lusso

Le aziende chiedono alla domanda di compartecipare i processi creativi, ma non sempre conviene

Fashion retail

I brand della moda non si accontentano più di vendere i prodotti al pubblico ma da anni hanno fatto un salto di qualità, coinvolgendo gli utenti nel processo di creazione degli assortimenti, sfruttando anche le piattaforme sociali al fine di comprendere meglio le istanze della domanda. Ma come dimostrato da uno studio condotto da Emanuela Prandelli, Christoph Fuchs, Martin Schreier e Darren W. Dahl e pubblicato sul Journal of Marketing,  dal titolo All That Is Users Might Not Be Gold: How Labeling Products as User Designed Backfires in the Context of Luxury Fashion Brands, non sempre questo atteggiamento paga. Nel campo dei marchi mainstream i benefici sono sostanziali, ma nel campo dei marchi dal posizionamento alto, ovvero quelli del lusso, i consumatori percepiscono nei prodotti disegnati da altri utenti un ribasso della qualità e anche un “attentato” al buon nome del brand, che di fatto veicola uno status. Ma perché succede? Lo abbiamo chiesto a Emanuela Prandelli, professore associato presso il dipartimento di management e tecnologia della Bocconi.

Il tema della collaborazione della domanda nella progettazione dei prodotti è sempre più centrale per le aziende. Ma lo si fa per dei reali vantaggi competitivi o è una concessione agli utenti, nell'era dei social?

Già nel 2010, in un precedente articolo per il Journal of Marketing, spiegavamo, nel senso più ampio possibile, quali sono i ritorni positivi che il customer engagement ha per le aziende, fra cui in primis un aumento significativo della disponibilità alla spesa. Il coinvolgimento attivo nella messa a punto del prodotto comporta una serie di vantaggi puntualmente misurabili e percettibili che si traducono nel miglioramento della brand attitude, in una maggior intenzione di acquisto, in una maggiore disponibilità alla spesa: a parità di prodotti l'utente è disposto a pagare di più laddove abbia compartecipato alla creazione. Infine, il customer engagement genera anche un superiore orientamento al passaparola positivo.

Gli utenti sono consapevoli dei vantaggi delle aziende, che pure si aprono al pubblico, mettendo in gioco valenze e significati del proprio marchio?

I risultati positivi elencati sopra possono essere spiegati attraverso il concetto di psychological ownership, ovvero l'utente che partecipa alla messa a punto del prodotto lo sente più suo, e questo spiega perché è interessato ad acquistarlo e a pagarlo di più. Oggi, nella misura in cui le aziende chiedono forme di engagement, gli utenti sono consapevoli che il loro coinvolgimento ha un valore economico, un ritorno molto concreto e per questo motivo sempre più raccomandiamo che laddove si punti su esso ci deve essere pay-off che ritorna all'utente, che può essere un premio economico, o intangibile, ad esempio con forme di visibilità che premino quegli utenti che hanno fornito le idee migliori. Ovviamente, l'utente comincia a essere consapevole del suo contributo, e anche le aziende possono incentivare la partecipazione nella misura in cui riconoscono anche un proprio ritorno esplicito.

Il punto nodale della ricerca è che i clienti dei brand del lusso non amano la compartecipazione degli utenti nella creazione dei prodotti. Ma è un atteggiamento legato al censo? Sono ricco e non voglio che il prodotto sia disegnato da chi, magari, nemmeno può comprarlo.

Abbiamo testato il gradimento nei confronti delle diverse opzioni- prodotto creato da un designer/prodotto creato dall'utente / prodotto creato da una celebrity - su un campione omogeneo, di consumatori, dove la differenza di ceto è sterilizzata, nel senso che la disponibilità economica media non presenta significative differenze tra i campioni analizzati. Tuttavia è evidente che, nella misura in cui acquistando prodotti di lusso gli utenti acquistano in primis status, la distanza tra il consumatore e il brand può risultare "accorciata" laddove il processo di messa a punto del prodotto viene democratizzato e aperto al contributo degli utenti e questo può ridurre la percezione di valore soprattutto agli occhi di chi cercava nel prodotto un evidente strumento per sancire la propria distintività. Non è però un problema di riconoscibilità esterna, quanto una percezione di riduzione dello status del prodotto agli occhi dell'acquirente stesso.

Non è troppo semplice pensare che l'utente che compartecipa la creazione dei prodotti sia un cittadino comune? Sono tantissimi i free lance e i talenti che anche in questo modo possono approcciare ambienti e aziende difficili da scalare.

E' un tema interessante da approfondire nella logica che porta almeno in parte a ripensare, per le aziende, lo stesso processo di selezione delle risorse umane. Davvero il web consente di avere uno spaccato dei potenziali collaboratori molto più ampio di qualunque forma di selezione tradizionale, e a differenza di quando l'input principale era il cv, dove si racconta cosa si è bravi a fare, in questo caso, si hanno strumenti che danno conto delle effettive capacità dei singoli, oltre  a favorire meccanismi di endorsement reciproci che si possono avere in rete (quindi non più solo cosa so fare o meno ma anche cosa dicono di me). In quest'ottica, anche per l'utente, si può ottenere visibilità pur non appartenendo, ad esempio nel campo dell'advertising, a un grande gruppo. Ci sono oggi piattaforme che danno alle azienda la possibilità di condividere un brief e ai creativi la possibilità di fornire la soluzione; quindi non cambia solo il modo in cui si possono reclutare le risorse ma cresce la possibilità, complementare, di operare in outsourcing, trovando canali alternativi per rendere più efficiente la soluzione ad alcune sfide che in azienda non hanno trovato risposta. Ammettere che alcune competenze possono risiedere al di fuori dell'azienda è un cambiamento notevole sui costi laddove la ricerca e sviluppo fatta in casa ha costo fisso, fuori, un costo variabile.

La morale di questo studio quale è, sul fronte del brand dei lusso? Il brand è tutto o no, per chi compra? Conta più il brand o alla fine chi compartecipa a renderlo grande, purché non sia un utente comune?

Parliamo di un business molto specifico, il lusso e in questo caso il brand ha forte valenza simbolica, la percezione di fondo è che io, comprando un brand del lusso, compro uno status, ed è proprio questo che fa sì che laddove so che il prodotto, a prescindere sulla valutazione delle effettive abilità di chi crea, è almeno in parte disegnato dall'utente, ho la percezione che si riduca la distanza tra utente e brand. Che nel lusso è la motivazione per cui il consumatore va ad acquistare. Nel mondo del lusso la distanza è quella che in un certo senso giustifica il prezzo. Poi, dipende dal prodotto. Più il prodotto è quotidiano, più il fastidio per il coinvolgimento dell'utente si riduce; più il prodotto di acquisto viene vissuto con una logica aspirazionale, meno mi va bene che gli utenti prendano parte al processo. E continuo quindi ad ascrivere il ruolo centrale al designer che lo crea.