Volatilità: una campana che non suona a morto per il Bull Market
Gli operatori di mercato hanno accolto con sollievo alla chiusura di Wall Street di venerdì scorso il successo del vistoso, anche se solo parziale rimbalzo settimanale seguìto alla brusca correzione delle due settimane precedenti.
Il bilancio del rimbalzo
Lo S&P 500 ha archiviato l'ottava con un saldo positivo del 4,3%, il miglior progresso settimanale dal novembre 2016 (+5,5% se si considera la striscia di 6 sedute positive iniziata venerdì 9 febbraio), recuperando oltre la metà delle perdite provocate dal selloff e tornando a quota 2732,22 punti base.
Perfettamente allineato anche l'indice degli industriali, il Dow Jones Industrial Average, salito nella stessa misura del 4,3% nella settimana per raggiungere i 25.219,38 punti, mentre un ritracciamento frazionale dello 0,2% nell'ultima sessione di contrattazioni non ha impedito al Nasdaq (Francoforte: 813516 - notizie) di mettersi in bella mostra con un balzo del 5,3% in cinque giorni verso i 7239,47 punti.
Bene (Londra: 0N6T.L - notizie) anche l'Europa, dove lo Stoxx 600 ha segnato un avanzamento settimanale del 3,3% - stando ai dati di FactSet, non accadeva dal dicembre 2016 - e la giornata di venerdì ha consegnato al Ftse Mib la vetta dell'Europa, con un rialzo dell'1,34% a 22.797 punti, seguito dal Dax di Francoforte (+0,87%), dal Cac di Parigi (+1,13%) e dal Ftse 100 di Londra (+0,73%).
I mercati prima e dopo la correzione
Insieme al sollievo per la capacità di reazione degli indici, è partita però tra gli strategist delle banche d'affari anche la corsa a comprendere cosa abbia innescato l'improvvisa caduta prima - il Dow Jones era sceso in sole dieci sedute dal record di 26.593 punti del 26 gennaio ai 23.860 del 9 febbraio - e il pronto recupero poi; e soprattutto cosa abbia provocato il repentino mutamento delle condizioni di mercato nelle ultime tre settimane, che ha esposto gli asset di rischio a oscillazioni di un'ampiezza incomparabile con i livelli del 2017.
Cosa è successo
In generale, prevale tra gli analisti l'idea che gli investitori abbiano letto come opportunità d'acquisto, nella settimana appena trascorsa, l'iper-reazione negativa di inizio febbraio ai segnali provenienti dall'inflazione e dai rendimenti del decennale americano (la fase peggiore dell'ondata di vendite era iniziata il 2 febbraio, quando il Labor Department degli Stati Uniti ha comunicato un aumento del numero di buste paga superiore alle stime a gennaio - 200 mila contro attese a 184 mila unità - e soprattutto un balzo delle retribuzioni orarie del 2,9%: numeri che letti in connessione con i segnali più aggressivi sul rialzo dei tassi inviati dalla Federal Reserve negli stessi giorni hanno innescato una nuova impennata dei rendimenti dei Treasury USA e la fase peggiore del sell-off).
Comprare i ribassi?
Ha avuto la meglio cioé sulle considerazioni legate a una possibile accelerazione della stretta monetaria della Fed - anche se solo dopo un momento di sbandamento iniziale, aggravato poi dal cortocircuito avvenuto sul mercato delle scommesse al ribasso sulla volatilità il 6 febbraio, ovvero il meccanismo che ha fatto partire ricoperture massicce degli investitori che avevano posizioni corte sul Vix, una volta che questo è schizzato - la fiducia nella sostenibilità delle valutazioni raggiunte dai titoli azionari, che la correzione aveva riportato a livelli che non si vedevano dal 2016.
Il multiplo P/E sugli utili a 12 mesi dello S&P500 era infatti scivolato sotto il fuoco dei venditori da 18,5 a 17 (dati Pictet Asset Management), come non accadeva dalla data delle elezioni presidenziali USA; e questo a fronte di una stagione degli utili aziendali che mostrava, e sta mostrando ancora, segnali di forza: dei quattro quinti delle compagnie quotate sullo S&P 500 che hanno finora comunicato i loro dati trimestrali, ha evidenziato Monica DiCenso, global investment specialist di J. P. Morgan Private Bank , il 77% ha riportato profitti superiori ai pronostici (il 78% se si guarda ai ricavi), e la crescita media dell'utile per azione si attesta finora intorno al 15% anno su anno. * [una precedente versione di questo articolo riportava dati con percentuali quasi identiche, ma invecchiati di due settimane]
Fondamentali solidi
Nel frattempo, grandi gestori come BlackRock e Credit Suisse hanno segnalato già nella fase più acuta dei ribassi che la bufera sui mercati non era dovuta a un qualche cambiamento nei fondamentali economici.
"Saremo pronti per sfruttare attivamente opportunità che potrebbero essere generate da questa recrudescenza di volatilità," hanno scritto nei giorni della correzione gli analisti di Amundi Asset Management, ricordando che la narrativa da tempo affermatasi su una "crescita globale sincronizzata" continua a poggiare su solide fondamenta.
"La cosa più importante, è che non crediamo che la forte crescita globale e il sostegno degli utili aziendali siano improvvisamente evaporati", scrive dal canto suo in una ricostruzione di quanto accaduto citata dalla CNN Erin Browne, head of asset allocation di UBS , anch'essa convinta che la correzione sia stata causata "più da fattori tecnici che dai fondamentali".
Serve cautela
Fiducia quindi. Anche se altrettanto ricorrente è però adesso l'avvertimento che dopo la corsa dell'ultima settimana il mercato potrebbe non avere più la forza per il momento di spingersi molto oltre (di un movimento "apparentemente un po' troppo aggressivo", scrivono gli strategist di MKM Partners).
"Finora, l'adagio 'comprare i ribassi' ha funzionato. Ma non funzionerà per sempre," nota invece John Stoltzfus, chief investment strategist di Oppenheimer & Co., suggerendo che adesso "cresceranno i timori legati a crescita del deficit e normalizzazione delle politiche monetarie, due temi chiave che causeranno nuovi periodi di volatilità.
Il ritorno della volatilità
E l'altro leitmotiv che ritorna nelle note di riesame delle ultime ore è proprio quello che riguarda il ritorno sui mercati della volatilità, grande assente del 2017 la cui irruzione è considerata causa, o almeno potente concausa e propellente del sell-off più che come sua conseguenza ("Questa correzione è stata guidata dall'aumento della volatilità: in altre parole, il balzo della volatilità ha causato il tonfo dell'azionario; e non il contrario," sostiene Liz Ann Sonders, chief investment strategist di Charles Schwab).
Un cambio di paradigma
Le statistiche sono in questo senso rivelatrici di quello che molti analisti considerano un vero e proprio "cambio di paradigma" per il mercato nei prossimi mesi.
Lo S&P 500 ha chiuso con un ribasso superiore all'1% solo 4 volte nel 2017 - un numero estremo se si considera che la media annuale dal 1980 è stata di trenta volte - e ha registrato movimenti superiori all'1% (tanto al rialzo che al ribasso) solo in 8 casi, mentre i neanche due mesi del 2018 ne hanno già consegnati ben 10.
Ciò significa - osservano gli analisti di Instinet in una nota richiamata dal magazine finanziario Barron's - che a questo ritmo ce ne potrebbero essere ben 78 da qui al 31 dicembre: una prospettiva poco verosimile, ma non impossibile se si ricorda che ce ne furono ben 160 nell'anno terminale della crisi finanziaria, nel 2009.
... o ritorno a una navigazione tranquilla?
Nel sottolineare d'altra parte che il contesto che ha favorito livelli di volatilità tanto bassi negli anni passati era caratterizzato dalla coincidenza di una accelerazione della crescita globale, di limitate preoccupazioni legate all'inflazione, e dei livelli record degli stimoli delle banche centrali, Marvin Loh, senior global market strategist di BNY Mellon, scrive che "in generale questi fattori non sono ancora sostanzialmente modificati ancora dall'inizio dell'anno, ma ci sono stati importanti segnali di cambiamento già da parecchi mesi”.
Come evolveranno questi temi, è l'idea dell'analista, deciderà dunque "se la volatilità ritorna ai livelli bassi che abbiamo testimoniato negli anni scorsi, o se la normalizzazione delle politiche (monetarie, ndr) includerà una normalizzazione dei trend di volatilità".
Non è la fine del bull market
I commentatori precisano in ogni caso perlopiù che non esiste una correlazione tra una maggiore presenza di volatilità e la fine del mercato "toro" che dura ormai dalla fine dell'ultima crisi finanziaria; ed è ancora una volta la comparazione storica a fornire statistiche favorevoli.
“Non ci sono ragioni perché l'azionario non possa spostarsi in un range superiore in presenza di una volatilità un po' più elevata, dice Michael Purves, chief global strategist di Weeden & Co. mentre un altro strategist ha ricordato che i tre anni in cui il VIX ha regis Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online