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Wall Street mette in scena un recupero

Per il secondo giorno a fila Wall Street ha messo in scena un recupero nella parte finale di seduta, riducendo le perdite ad una marginale frazione di punto (il Nasdaq (Francoforte: 813516 - notizie) ha perfino chiuso in positivo). Il rimbalzo è stato favorito da una robusta rotazione settoriale, con settori recentemente bastonati come healthcare e utilities che hanno prodotto performance robuste, il primo grazie ad aspettative di deregulation nell’ambito di approvazione dei nuovi farmaci, alimentate dal Presidente in un meeting con gli industriali, come contropartita per prezzi più bassi.

Dietro l’indiscutibile resilience dell’azionario US vi sono molteplici fattori. L’attuale forza del ciclo, il rimbalzo dei profitti evidente con il procedere dell’earning season, e la recente discesa del $, che sembra la principale discriminante nei confronti dell’azionario europeo, che ha sottoperformato sensibilmente da inizio anno.

Il sentiment ha ricevuto ulteriore supporto, dopo la chiusura, dalla trimestrale di Apple (NasdaqGS: AAPL - notizie) , che ha impattato sia sui futures (in particolare del Nasdaq 100, visto il peso) che sull’indotto.

La seduta asiatica continua a soffrire l’assenza di diverse piazze (anche se Hong Kong ha riaperto). Tokyo come al solito ha reagito al rimbalzo del $/Yen, ed eventualmente all’atteggiamento conciliatorio delle autorità Giapponesi.

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Shanghai resta chiusa (anche domani) ma stanotte sono stati pubblicati i PMI ufficiali cinesi di gennaio. Quello manifatturiero ha rallentato meno delle attese (51.3 da prec 51.4 e vs attese per 51.2), con i principali sottoindici new orders e production a loro volta in lieve calo. In accelerazione i servizi (54.6 da 54.5). In generale l’attività si conferma su livelli robusti (relativamente al recente passato) e forse il piccolo rallentamento nel manifatturiero è da ascrivere alle festività.

Detto questo, per tornare all’atteggiamento aggressivo di Trump nei confronti delle principali controparti commerciali, brevemente illustrato ieri, mi pare che la Cina sia tra i primi a doversi preoccupare di quello che sta diventando un leitmotif della nuova presidenza, ovvero il riequilibrio della bilancia commerciale, e l’attacco ai paesi titolari di avanzi bilaterali rilevanti.

Come si nota dal grafico courtesy of BNP (Parigi: FR0000131104 - notizie) , il colosso asiatico guida la classifica dei surplus, mentre EU, Giappone e Germania superano il vituperato Messico.

Il quadro si modifica un po’ se il surplus viene espresso come percentuale del trade totale (pesandolo quindi per la dimensione degli scambi) ma la Cina continua a guidare la classifica, con Irlanda e Vietnam, mentre l’EU vede il problema ridimensionato.

Trump deve aver guardato gli stessi grafici, se è vero che ieri lui e il suo entourage hanno “battezzato” tutti e 4 i primi in classifica del grafico a sinistra.

Poichè personalmente resto convinto che la ripresa congiunturale cinese sia tra i principali driver della recente ventata di reflazione e del rimbalzo della domanda globale, sono più preoccupato della media della crescente deriva autarchica di Trump.

Allargando il quadro, ci si fa un idea di quanto sia rilevante la domanda di beni US per l’economia globale. Trump sembra convinto che il global trade sia un gioco a somma zero: tanto più l’America prodotti nazionali rispetto a quelli di provenienza estera, tanta più crescita viene internalizzata a discapito di quella globale. Io aggiungerei all’equazione i maggiori costi della merce US (perdita di potere d’acquisto per il consumatore US) e i rischi connessi con un rallentamento, con annesse crisi, dei partner commerciali.

L’apertura europea ha capitalizzato il rimbalzo di Wall Street, Apple, un dollaro in tendenziale recupero e alcune trimestrali (Siemens (BSE: SIEMENS.BO - notizie) ), aprendo finalmente in positivo dopo un paio di sedute pesanti. A supporto anche le revisioni dei PMI manifatturieri di gennaio, anche se il messaggio era già noto dai dati flash. Per quanto riguarda la periferia lieve passo indietro dell’Italia (53 da53.2) mentre la Spagna continua a macinare (55.6 da 55.3).

In rialzo i rendimenti,succubi del risk appetite.

Il sentiment ha ricevuto ulteriori sferzate ne pomeriggio dai dati US:

  • l’ADP survey ha segnalato 246.000 nuovi occupati a gennaio, da 151.000 di dicembre e vs attese per 168.000. Il bel tempo può aver impattato un po’, ma è chiaro che il dato alimenta ottimismo per venerdi ai payrolls, dove le attese ufficiali di 175.000 unità non riflettono più il vero consenso.

  • Ancora meglio l’ISM manufacturing di gennaio che, in barba al Chicago PMI di ieri, a sorpreso clamorosamente in positivo, segnando il massimo da novembre 2014 (56 da 54.5 e vs attese per 55). Tutti robusti i sottoindici, con new orders e production ancora sopra 60., e i prezzi pagati addirittura a 69, massimo dal 2011. Dati indubitabilmente forti.

Ma Wall Street, che recentemente sembra avercela con l’azionario europeo, visto che fa i minimi di seduta in concomitanza con le chiusure di quest’ultimo, dopo una partenza robusta ha ripiegato, e attualmente attende il FOMC in territorio marginalmente negativo, avendo imposto alle borse europee chiusure ad una certa distanza dai massimi di seduta, stabiliti nel primo pomeriggio.

Il motivo potrebbe essere questo: con il FOMC stasera, è il giorno sbagliato per mostrare la forza del ciclo. Tanta esuberanza potrebbe indurre Yellen e C. a segnalare un rialzo per marzo (o a agire direttamente?).

Il ragionamento fila. E infatti i tassi salgono sulla parte breve della curva US. Ma non è che il $ abbia aumentato granchè il passo in generale, segno che ognuno ha da temere qualcosa stasera. I dollar bulls, un FOMC accomodante.

La vivace price action sui tassi vede a fine giornata il BTP cedere parte del recupero di ieri vs bund (ma la Spagna per una volta ha fatto peggio).

Nonostante la forza dei dati US, non credo che lo statement stasera darà i brividi. Ci sarà senz’altro il riconoscimento che i target di occupazione e inflazione sono più vicini (il primo praticamente centrato), ma il Committee non alzerà i tassi, e dovrebbe astenersi dal segnalare una mossa al 15 marzo, ritenendo che servono ulteriori informazioni (soprattutto sul fronte di politica economica del nuovo governo, aggiungo io) prima di passare nuovamente all’azione.

Il mercato dovrebbe quindi tornare a focalizzarsi sul ciclo macro, e sulle mosse di Trump.

Autore: Giuseppe Sersale Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online