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Whirlpool, 766 giorni di promesse e illusioni

Whirlpool (Photo: ETTORE FERRARIANSA)
Whirlpool (Photo: ETTORE FERRARIANSA)

Quando si accendono le webcam dei partecipanti all’incontro convocato dal ministero dello Sviluppo economico, ce n’è una che non compare nella schermata. È quella di Carmine Trerotola, responsabile delle relazioni industriali di Whirlpool. Tocca alla viceministra Alessandra Todde riferire ai sindacati che l’azienda si è presa una settimana di tempo per decidere se prolungare la cassa integrazione allo stabilimento di Napoli. L’alternativa è il licenziamento di tutti i 350 lavoratori. Il Governo può continuare a trattare, i sindacati a sperare, ma la scelta tra gli ammortizzatori e i licenziamenti è una questione al ribasso. E non solo perchè dipende esclusivamente dall’azienda. Lo scenario migliore per i lavoratori, cioè 13 settimane aggiuntiva di cassa, garantirebbe loro una copertura economica per altri tre mesi. Ma oggi, dopo 766 giorni da quando il management ha proiettato una slide al Mise con una X sopra allo stabilimento campano, non c’è una soluzione per il loro ricollocamento. Il posto di lavoro è rimasto solo sulla carta perché intanto Whirlpool, sette mesi fa, ha fermato la produzione e chiuso i cancelli.

Cosa Whirlpool vorrà fare lo si capirà il 14 luglio, quando i sindacati torneranno al Mise. Non è solo l’ennesimo slittamento di un tavolo che da giugno del 2019 ad oggi è stato convocato decine di volte e che ha tirato dentro tre governi, solo per citare quelli coinvolti da quando l’azienda ha annunciato di chiudere Napoli. Perché la fragilità della questione industriale di Whirlpool è iniziata ancora prima ed è passata anche da un accordo, datato 25 ottobre 2018, che è stato festeggiato dai 5 stelle come definitivo e che invece è diventato carta straccia sei mesi dopo quando Luigi Di Maio, ai tempi ministro dello Sviluppo economico, ricevette una lettera ...

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.