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Borse cinesi ancora in rosso. I dubbi crescenti sull’economia

Niente da fare. Nemmeno le misure di sostegno annunciate martedì dalla banca centrale di Pechino sono riuscite ad interrompere la peggior raffica di vendite alla Borsa di Shanghai dal 1996. Per il quinto giorno di fila l’indice principale ha chiuso in negativo, quasi dell’1,3%. Meno rispetto ai tonfi dei giorni scorsi, certamente. Ma l’alto tasso di volatilità dimostra, secondo gli analisti, la sfiducia nei confronti della capacità d’intervento delle autorità governative. “Succede sempre quando cambia il contesto economico. La turbolenza si diffonde come un virus. È come le raffiche di vento prima di uno tsunami”, commenta Enzio Von Pfeil di Private Capital Limited. “Poi gli eventi precipitano: il rialzo dei tassi di interesse negli Stati Uniti, l’abbassamento del costo del denaro in Cina, e così via…”, aggiunge. Stavolta il taglio dei tassi d’interesse e dei requisiti di liquidità obbligatoria per le banche non sono riusciti a dissipare i timori per il rallentamento economico. Un rallentamento in teoria pilotato, che però sta facendo emergere le contraddizioni della Cina, stretta tra voglia di libero mercato e mosse, come le accuse ad alcuni operatori finanziari di aver sostenuto le vendite azionarie, di segno contrario.