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Trans-Pacific Partnership, vincitori e vinti dell’accordo

L’abbattimento delle barriere al commercio, come dazi e tariffe. E la creazione di regole comuni relative, tra le altre cose, alla sostenibilità ambientale e ai diritti dei lavoratori. C‘è davvero di tutto nella Trans-Pacific Partnership, l’intesa tra le principali economie del Pacifico, capitanate da Stati Uniti e Giappone. Un accordo arrivato dopo anni di negoziati che, se ratificato dalla maggioranza dei 12 firmatari, interesserà una popolazione di 800 milioni di persone e toccherà circa il 40% dell’economia mondiale. Un nuovo quadro regionale che vedrà, naturalmente, dei vincitori e dei perdenti: “Tra i primi ci sono i settori ad alto tasso di innovazione, come semiconduttori e computer”, spiega Edward Alden del Council on Foreign Relations. “Alcune disposizioni, davvero rivoluzionarie, trattano la libera circolazione dei dati e impediscono agli Stati di imporre lo stoccaggio nei loro territori, il che è un grande problema per aziende come Google”, aggiunge. Ma non solo: pensate, ad esempio, alle esportazioni di prodotti tecnologici statunitensi, oggi soggette a tasse che possono arrivare al 35% in certi Paesi. A ogni modo, si tratta di un’arma a doppio taglio: molti posti di lavoro, dicono i critici, potrebbero spostarsi in Paesi dove i salari sono più bassi. In Cina, magari? No, perché Pechino non fa parte dei Paesi membri della convenzione. Il governo di Washington spera, con questa manovra, di metterla in un angolo, spingendola ad accettare le sue regole di condotta degli affari in un accordo ad hoc.