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L'appello del sindacato a innovarsi partendo da giovani e Web

L'intervista a Ilaria Lani, autrice di Organizziamoci

Un sindacato che fa autocritica, partendo da un’analisi cruda della società odierna che va dalla diffusione crescente del precariato all’abuso di formule come l’associazione in partecipazione, non lesinando considerazioni negative su quello che non è stato fatto e si poteva fare.

Ma Organizziamoci- I giovani del sindacato di Editori Internazionali Riuniti, non è affatto un libro rivolto al passato, ma perfettamente ancorato al presente e orientato nel futuro. Un modo per fare autocritica e non fermarsi lì. Ne parliamo con Ilaria Lani, sindacalistaed ex responsabile dei giovani della Cgil che ha curato il libro - che vede al suo interno parecchi contributi come quelli di Andrea Brunetti, nuovo responsabile delle politiche giovanili della Cgil e la prefazione della leader della Cgil Susanna Camusso – e in cui si raccontano anche varie iniziative dei giovani della Cgil come quella, virale e che forse ricorderete, dei “Giovani NON + disposti a tutto”.

Ilaria Lani
Ilaria Lani

Sembra rivolto al sindacato stesso, ma l'organizziamoci del titolo fa presupporre che ci siano altri destinatari. A chi è rivolto questo testo?

"È innanzitutto un appello rivolto alle nuove generazioni, a mettersi in rete e partecipare, sperimentare nuove pratiche e nuove lotte, e farlo nel sindacato, con l'ambizione di rinnovare profondamente il sindacato stesso. In questa chiave è per noi un libro rivolto anche all'interno del sindacato, affinché le sperimentazioni portate avanti in questi anni dai giovani della Cgil possano interrogare e contaminare sempre di più l'intera organizzazione".

La società odierna é pronta ad accettare "il lavoro pur che sia", allora perché c'è bisogno del sindacato e cosa può fare di concreto? Insomma, anche alla base di quello che dice il libro, come si conciliano le istanze dei giovani, di chi è senza contratto con il vecchio modo di fare sindacato? E con  il nuovo governo?

“Innanzitutto provando a fermare la segmentazione dei diritti e ricostruendo, pur nelle differenze di condizioni, tutele universali, valide per tutti. Il sindacato in molti contesti possiede ancora una forza contrattuale che deve esser usata per includere e tutelare i lavoratori precari. Così come laddove non siamo forti possiamo diventarlo organizzando proprio chi è più fragile. La solidarietà è ancora l'unico strumento di potere a nostra disposizione. Non possiamo più tollerare, nella speranza di vedere cancellate le tipologie precarie, che intere generazioni lavorino senza la copertura di un contratto nazionale e quindi senza alcun minimo salariale o diritti elementari. Questo è un impegno che ci siamo presi e intendiamo portare avanti nella nostra attività contrattuale e sindacale, indipendentemente dalle scelte legislative. Certo, poi servono nuove leggi per contrastare la precarietà e interventi per creare occupazione: vedremo cosa farà questo Governo, per ora solo ricette note (e già fallite) con l'ulteriore liberalizzazione del contratto a termine e l'aumento della precarietà”.

Nel libro si raccontano molti episodi (Giovani Non +, la campagna di Original Marines) in cui ha contato molto il Web. Ci spieghi perché è quanto può contare nel futuro? E i social media?

“Il Web può essere molto utile in alcuni contesti come in quelli in cui il lavoro è privo di un luogo fisico di incontro. In quel caso, può diventare il luogo virtuale in cui raccontare la propria condizione e riconoscersi in quella degli altri, per poi organizzarsi e costruire un'azione comune. Come la campagna Giovani NON + disposti a tutto, ma anche altre iniziative. Inoltre la comunicazione in generale e i social network sono uno strumento molto potente per denunciare situazioni di sfruttamento e colpire la reputazione delle aziende. La pressione che non riescono ad esercitare da soli i lavoratori diventa così molto più forte grazie alla mobilitazione e alla solidarietà dell'opinione pubblica”.

Un’altra cosa che emerge e cui si dedica molto spazio nel testo è il community organizing. Esperienza solo americana o può arrivare anche in Italia?

“Il community organising è una pratica organizzativa sperimentata da Saul Alinsky negli anni '30 del secolo scorso. È diventata poi uno dei capisaldi dell'attivismo progressista americano e lo stesso Obama l'ha utilizzata nella sua prima campagna elettorale. Il sindacato americano alla fine degli anni '80 sceglie di investire le proprie energie, con questo metodo, nella sindacalizzazione delle fasce di lavoratori più fragili, considerato anche che, a differenza dell'Italia, non esiste una struttura contrattuale nazionale. Punta tutto nell'attivazione delle comunità per consentire loro di costruire potere attraverso precise strategie organizzative. Non è molto lontana dalla tradizione che ha ispirato il sindacato italiano: la cosa importante è perseguire azioni che abbiano il carattere della straordinarietà con però una visione strategica, e riescano ad attivare le comunità di esclusi superando le resistenze burocratiche presenti nelle organizzazioni tradizionali. Questi aspetti possono rappresentare per noi un grande insegnamento”.

Cosa stanno facendo di concreto in questo momento i giovani della CGIL?

“C'è un forte impegno sull'attuazione della garanzia giovani, un programma che come giovani della Cgil, oltre un anno fa, avevamo proposto. Inoltre continua l'elaborazione di campagne di organizing in differenti contesti e su obiettivi precisi, perché siamo certi che solo attraverso il protagonismo delle nuove generazioni sia possibile ri-conquistare quei diritti che non abbiamo mai visto e conosciuto. Infine continueremo a raccontare storie di ordinaria e straordinaria sindacalizzazione nel blog del libro www.organizziamoci.info, un modo per disseminare le innovazioni nel sindacato e tra i lavoratori”.