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Da Apple a Netflix: le illustri vittime del divieto di Trump

Dopo l'entusiasmo per le politiche protezioniste del nuovo arrivato alla Casa Bianca, si scatena l'ondata di rabbia per le politiche protezioniste del nuovo arrivato alla Casa Bianca.

Le contraddizioni

Non è un errore di stampa: le stesse strategie per preservare il lavoro americano e i prodotti americani, portate all'estremo, hanno creato le proteste che adesso Trump dovrà giostrare. In un modo o nell'altro. Sì, perché se fino ad ora il presidente e con lui anche il sistema elettorale statunitense, hanno deliberatamente ignorato la volontà della maggior parte dei votanti (Hillary Clinton ha ottenuto circa 2milioni e 800mila voti in più rispetto al suo avversario il quale, però, è riuscito a vincere negli stati che hanno portato in dote un numero superiore di Grandi Elettori) adesso sono anche le grandi multinazionali che scendono sul terreno di guerra.

I divieti di Trump riguardano paesi come la Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen, ma non l'Arabia Saudita e il Qatar, islamici anch'essi e di certo non definiti moderati e, cosa ancora peggiore, nazioni dalle quali arrivavano gli attentatori dell'11 settembre, il che fa pensare subito che il tycoon non teme gli immigrati, ma i poveri, senza ricordare invece, da buon capitalista, che sono proprio i poveri che il sistema sfrutta a suo vantaggio. Partendo da questa constatazione, abbellita poi da grandi ideali che in realtà gli Usa non sempre possono vantare tra i pilastri della propria economia, le grandi multinazionali hanno deciso di agire contro le decisioni di Washington.

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I grandi nomi delle vittime illustri

La prima è la grande catena di caffetteria Starbucks (Hannover: SRB.HA - notizie) che ha già comunicato di essere intenzionata ad assumere 10mila rifugiati in tutto il mondo mentre Google, o per essere più precisi, Mountain View, ha stanziato un fondo di 4 milioni di dollari, metà dei quali stanziati dagli impiegati, ben ricordando come proprio la natura del suo business si fondi sulla multiculturalità e sulla condivisione a livello internazionale. Cosa sarebbe, infatti, Google senza l'esercito di sviluppatori (spesso indiani), di traduttori oltre tutto il resto dei collaboratori. In realtà è un po' tutto il mondo di Internet che si sta muovendo, tra cui anche un celebre nome come quello di Microsoft (Euronext: MSF.NX - notizie) . La società capostipite delle grandi della Rete, è stata letteralmente salvata dal triste destino di obsolescenza cui pareva condannata, proprio da un immigrato, Satya Nadella, di origini indiane, il quale, già nei giorni scorsi, non aveva esitato a denunciare il pericolo di non riuscire ad avere degli adeguati team di sviluppo, a causa delle restrizioni, il tutto a discapito della produttività e soprattutto della competitività, vera linfa vitale per chi opera nel settore.

E ancora

Uber, il colosso del trasporto automobilistico privato, ha creato una serie di iniziative per l'assistenza legale ai propri autisti in caso di problemi sul fronte della revoca del permesso di soggiorno. E di assistenza legale si occupano anche le centinaia di avvocati volontari che forniscono supporto e informazioni a tutti coloro che sono rimasti bloccati in aeroporto, immediatamente dopo la firma dei decreti. Anche Netflix, altro caposaldo dell'economia statunitense, è stata duramente colpita dal bando, proprio mentre ha attivato da tempo, la sua politica di espansione a livello internazionale. In prima linea anche Apple (NasdaqGS: AAPL - notizie) che, per voce di Tim Cook, ricorda come la ditta di Cupertino non solo non potrebbe esistere senza gli immigrati, terreno umano sulla quale l'intera nazione è nata, ma ma non sarebbe mai esistita visto che il suo fondatore, Steve Jobs, altro non era che figlio di immigrati. Come, in effetti, è lo stesso Trump, il quale, non disdegnando di prendere come sua terza moglie un'immigrata dalla Slovenia, (Melania è infatti originaria di questa nazione) a sua volta è figlio di Mary Anne Trump, giunta da Glasgow nel 1930.

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