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Come capire se una banca è solida?

Visto l’andamento del settore bancario e le prospettive non troppo rosee sull’economia così come anche sui risparmi, in molti hanno avuto la tentazione di ritirare i propri soldi dalle banche e metterli sotto il materasso: se non rendono niente, almeno avranno pensato, non rischiano di essere erosi da tassi negativi, aumento dei costi di gestione oppure, nel peggiore dei casi, dal tenuto bail-in.

Come si sceglie una banca sicura?

Peccato che tutto questo sia per lo meno irrealizzabile non solo per l’entità di alcuni conti correnti (per chi ha la fortuna di averne di consistenti) ma anche perchè chiudere un rapporto bancario non è semplice sia dal punto di vista procedurale che, soprattutto, da quello pratico: come ricevere lo stipendio? Pagare l’affitto? Oppure fare un pagamento superiore ai 999 euro cifra oltre la quale, per volontà di legge, è necessaria la tracciabilità? Senza contare poi i pagamenti telematici, via Internet, sempre più diffusi. Impossibile, alla fine, adottare misure estreme.

Bisogna scendere a compromessi, ma questo non significa necessariamente dover sottostare a regole imposte e a condizioni non convenienti spesso stabilite unilateralmente dall’istituto. Anzi, potrebbe essere l’occasione per prendere coscienza del fatto che oggi, a differenza del passato, l’investitore così come il risparmiatore, sono chiamati a gestire in maniera responsabile ed attiva il proprio capitale e, quindi, a doversi fare, volenti o nolenti, un’infarinatura di cultura finanziaria. Se non altro per difendersi.

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Non Performing Loans: non sono tutti uguali

Partiamo dalla base. Ultimamente le cronache finanziarie hanno sempre più spesso messo in evidenza il tallone d’Achille del sistema di credito italiano che è rappresentato dalle cosiddette sofferenze, ovvero quei crediti deteriorati e incagliati In realtà è necessario fare una prima distinzione: i crediti deteriorati (oppure Non performing loans, NPL) è la somma di diverse categorie che la Banca d’Italia distingue in sofferenze, ovvero finanziamenti ormai considerati persi a causa di soggetti debitori in stato di insolvenza, e gli incagli ovvero i finanziamenti che allo stato attuale risultano difficoltosi da recuperare a causa di debitori che si trovano in difficoltà temporanea ma accertata; in questo secondo caso la banca ha la speranza di poter riprendere quanto dovuto. Ci sono poi anche le esposizioni ristrutturate e cioè quei finanziamenti che hanno visto un cambiamento delle condizioni contrattuali, causato da una situazione di difficoltà del debitore verso cui la banca ha deciso di venire incontro con condizioni più favorevoli (dilazioni, sconti taglio degli interessi etc) e che permette il recupero della somma anche se con qualche perdita. Ad ogni modo, volendo considerare tutte le voci, visto che a prescindere dallo stato del debito, il relativo recupero è fonte di dispendio e obbliga la banca ad accantonamenti come copertura, la somma arriva a 360 miliardi di euro. Troppi. E per giunta diversamente distribuiti da una banca all’altra.

L’andamento sul mercato e le trimestrali

Lo stato di salute di una banca si evince anche dallo stato dei suoi conti (trimestrali e/o semestrali) e dall’analisi del bilancio. Altro indicatore, del tutto sommario e puramente indicativo, potrebbe essere considerato anche l’andamento delle quotazioni finanziarie della banca (naturalmente per chi è presente sui mercati). Un primo confronto lo si può fare tra il titolo dell’istituto con l’andamento dell’intero settore. Si tratta, in questo caso, di un dato, come detto, puramente teorico visto che come è noto, il mercato prevede la speculazione sulle azioni (spesso trascinate da sell off ingiustificati oppure dalle cosiddette mani forti) anche se la presenza stessa del titolo in Borsa farebbe presumere a monte un controllo ulteriore da parte dell’autorità di vigilanza. In teoria.

Cet1

Non volendo partire dai parametri più tecnici si può iniziare a controllare il rapporto tra i Non performing loans (quelli che prima erano stati definiti semplicemente crediti deteriorati) e il valore totale dei crediti concessi. Si tratta, ovviamente, di una prima occhiata sommaria per capire orientativamente lo stato di salute della banca. Qualora si volesse scendere in particolari tecnici più specifici allora sarà necessario guardare il cosiddetto Cet-1, cioè il Common Equity Tier 1: si tratta del rapporto in percentuale tra il capitale di un istituto di credito con il suo portafoglio sul mercato o collocato alla clientela. avere bond affidabili ad alto rating, garantisce una relativa qualità e stabilità rispetto all’aver investito i capitali in titoli inaffidabili o volatili per quanto con rendimenti alti. Un Cet-1 contrassegnato da una percentuale elevata è sinonimo di una stabilità di base del patrimonio. La media delle banche italiane si aggira al 10,5%.

Total Capital Ratio

Altro parametro da usare è il Total Capital Ratio cioè il rapporto tra il capitale di base di una banca e i prestiti erogati, questi ultimi valutati a seconda del grado di rischio ovvero la probabilità di essere rimborsati regolarmente. In questo caso, quindi quando si prospetta la possibilità di un incaglio se nn addirittura di una sofferenza, proprio per evitare eventuali sorprese non gradite (mancati rimborsi per cause di forza maggiore) la banca solitamente accantona una parte di capitale come scorta, da qui il Total Capital Ratio che, se elevato è sintomo di fragilità, a differenza del Cet1 che, se alto, è sinonimo di stabilità.

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