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Il FMI lancia l'allarme su Londra: -9,5% sul Pil

Mancano poco più di una quarantina di giorni al referendum in Gran Bretagna che sancirà la permanenza o l’addio di Londra all’Unione Europea.

La paura della Brexit

Per il momento sono in vantaggio, secondo i sondaggi, i favorevoli all’Ue, anche grazie all’apporto degli abitanti della capitale e delle zone limitrofe, spaventati dalle potenziali conseguenze circa un taglio tra l’Isola e il mercato finanziario del Vecchio Continente. Una prospettiva che a quanto pare non piace a nessuno, tanto da aver spinto persino il Presidente degli Stati Uniti in visita qualche settimana fa nel Regno di Sua Maestà ad avvertire sui pericoli di un possibile divorzio. Ebbene anche il Fmi parrebbe essere intenzionato a sottolineare la stessa preoccupazione con una serie di dichiarazioni il cui scopo parrebbe quello di mettere in guardia la popolazione sulle ripercussioni di un voto di addio.

L’organizzazione presieduta da Christine Lagarde ha posto l’accento sul lungo periodo di incertezza che coinvolgerebbe non solo l’economia della nazione ma anche l’andamento della sua stessa valuta, la sterlina, già protagonista di un -9% da agosto ovvero da quando i primi venti iniziavano a soffiare sulle previsioni. Uno scenario difficile, dunque, quello che presumibilmente si potrebbe realizzare in caso di una Brexit.

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Le (Taiwan OTC: 8490.TWO - notizie) conseguenze sugli accordi economici

Ma il FMI va oltre e tocca il vero e proprio nervo sensibile della nazione ovvero il suo ruolo di centro della finanza: un Sì alla Brexit significherebbe anche la perdita dello status di piazza privilegiata per il Vecchio Continente tanto che molti affari in euro potrebbero volare verso la terraferma. E ancora: per quanto sia un evento le cui conseguenze amministrative arriverebbero solo dopo diverso tempo, i mercati stessi, una volta presa coscienza della situazione, si muoverebbero d’anticipo. Il tempo burocratico, invece, sarebbe più lungo ma altrettanto infido: infatti dovranno essere riconsiderati tutti gli accordi commerciali presi dall’Impero di Sua Maestà sia con le nazioni extra europee che con quelle dell’Unione. Partendo da quest’ultimo caso si parla di un iter che richiederebbe anche l’approvazione dei singoli stati dell’Unione proprio nel momento in cui l’Europa si trova in guerra con se stessa e, ancora peggio, preda dell’incertezza politica e in attesa di importanti responsi in arrivo dalle urne. Spagna prima su tutti. Se invece si guarda oltre i confini del Vecchio Continente allora si dovrà tener conto di una 70ina di nazioni (più o meno) e di tempi altrettanto lunghi per organizzare nuovamente relazioni e soprattutto i colloqui. E nel frattempo? Dal Fmi non hanno dubbi: sul lungo periodo, l’aumento delle barriere si tradurrebbe in un aumento dei costi e, quindi, in una diminuzione della produttività con conseguente calo del prodotto interno lordo. Tradotto in numeri si parte da un minimo calo dell’1,5% a un massimo del -9,5%.

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