In finanza le donne battono gli uomini sulla performance
Poche ma buone: questa la situazione delle donne nel mondo della finanza, un mondo che, notoriamente popolato da uomini, è invece riuscito a diventare terreno di ottima conquista anche da parte delle donne le quali -udite, udite- hanno ottenuto performance migliori rispetto ai loro colleghi maschi.
I numeri del caso
A confermarlo sono i numeri: l'indice Hfrx Women, la cui caratteristica principale è quella di includere fondi gestiti da donne, ha registrato da gennaio a luglio, una performance quasi doppia sul suo corrispettivo maschile. Per la precisione si tratta di un 9,95% contro il 4,81% Hfri Fund Weightes Composite, (in questo caso si tratterebbe però di fondi gestiti sia da uomini che da donne). In realtà la strada da percorrere, per il gentil sesso, è ancora lunga, persino in una nazione, come gli Usa in cui il potere femminile è da tempo conquistato; ebbene, oltreoceano sono solo 184 le donne al comando di un fondo su un totale di 7mila fondi. Ma come spesso accade i mercati hanno capito l'opportunità e hanno deciso di aprire le porte alle donne, ma solo a quelle meglio predisposte al risultato. Un trend che, per la legge dei grandi numeri, offre da sè il risultato finale, frutto a sua volta di una selezione che si opera alla base: un mercato tendenzialmente diffidente verso le donne è il primo filtro per incentivare solo le migliori a continuare.
Il Gap di genere
Quello del gap di genere è un tema che è stato particolarmente dibattuto durante l'ultima campagna elettorale in particolar modo alla voce salario: la rappresentante democratica, Hillary Clinton, per ovvie ragioni di genere, ne aveva fatto uno dei suoi cavalli di battaglia. Ebbene sono proprio gli Usa a dimostrare che negli ultimi anni la differenza tra il salario maschile e quello femminile ha visto un aumento sensibile della forbice con una percentuale di guadagno da parte delle donne del 66% dello stipendio maschile, diventato poi 64%. Una conferma anche di un'altra realtà ormai sempre più nota a tutti: nel mondo del lavoro statunitense la carenza non è quella della quantità di lavoro (disoccupazione al 4,4%) ma della qualità con salari ormai al palo da tempo, con tutti i rischi che gravano sui consumi, che rappresentano i 2/3 del Pil Usa.
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