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Questo sarà un settembre che resterà nella storia?

Ad un agosto placido, fin troppo, sugli Usa farà seguito un settembre non altrettanto remissivo. A cominciare da oggi

I primi appuntamenti

La calma piatta non è certo un modo di dire, almeno sui mercati statunitensi dove le variazioni, al rialzo o al ribasso, sono state inferiori all'1% per circa una quarantina di sedute, per la precisione, contando anche quella di ieri, 39. Una calma che spaventa gli amnti della cabala visto che gli ultimi due precedenti risalgono al 2007 , con la crisi dei mutui subprime, e al 2014. Ben diversa, invece, la situazione in Europa con la tempesta sul settore bancario che ha fatto da padrona nel Vecchio Continente. Oggi, intanto, l'attenzione è tutta per i non-farm payrolls, i dati che daranno l'indicazione più chiara e precisa non tanto sull'economia Usa, quanto sulle intenzioni che la Fed ha (sempre che ne abbia) circa il rialzo dei tassi di interesse. Stando infatti alle ultime dichiarazioni del governatore della banca centrale statunitense, Janet Yellen, o per meglio dire alle interpretazioni delle sue parole, l'ago della bilancia delle prossime decisioni, che saranno presumibilmente prese nella riunione del 21 settembre, saranno proprio i dati sui nuovi posti di lavoro non agricoli. Intanto ieri sono stati pubblicati i report sull'ISM, l'indice manifatturieri a stelle e strisce, report che ha deluso non poco gli analisti. Infatti l’indice PMI manifatturiero ISM degli USA del mese di agosto, dato intorno ai 52,0 punti dagli esperti, si è fermato invece a quota 49,4 in calo anche rispetto al risultato precedente di 52,6. Una delusione che si è avvertita immediatamente sia sul dollaro che sui rendimenti dei bond a stelle e strisce.

Il numero uno della Fed da tempo sta alternando dichiarazioni compiacenti verso una politica potenzialmente accomodante a views più pessimiste che non escludono una stretta sul costo del denaro. In realtà, però, a creare confusione è il carosello di dichiarazioni dei suoi colleghi. Le ultime in ordine di tempo sono quelle di Charles Evans, della Fed di Chicago contrario sia per quanto riguarda un intervento immediato sia per uno futuro: l'economia Usa, secondo lui, darebbe in una fase di stagnazione secolare. Dalla parte opposta, invece, il parere del vice di Janet Yellen, Stanley Fischer che parla addirittura di due ritocchi entro la fine dell'anno. Insomma, ce n'è per tutti i gusti.

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Non solo Fed

Dunque per il 20-21 settembre si attende, come detto la riunione politica della Fed con dicembre che, allo stato attuale, rappresenta ancora la data più probabile per un secondo aumento del costo del denaro dopo quello, storico, di dicembre 2015. Ma negli stessi giorni si riunisce anche la Bank of Japan impegnata da tempo nella più ampia e radicale manovra di espansione monetaria per riuscire, o almeno tentare, a traghettare il Giappone al di fuori di quella stasi economica ormai trentennale. Ma la riunione della Fed sarà anticipata da altri eventi, come per esempio quella della Bank of England che recentemente, per la precisione all'inizio di agosto, ha annunciato, per contrastare le possibili conseguenze immediate della Brexit, il taglio dei tassi di interesse ai minimi storici, portandoli allo 0,25%, proprio mentre troncava di netto anche le previsioni di crescita del Pil 2017 che da 2,3% crollavano allo 0,8%, così come quelle del 2018 che arrivavano a 1,8% dal precedente 2,3%.

G-20 e Bce (Toronto: BCE.TO - notizie)

Ma tra gli appuntamenti di settembre il calendario annovera anche quello del G-20 del 4-5 settembre che si terrà nella città cinese di Hangzhou. In realtà le attese degli esperti parlano di una generica discussione sul rilancio della crescita globale e della lotta contro la crescente ondata di protezionismo, in particolare dopo l'allarme lanciato ieri dal Fmi che ha chiesto proprio ai 20 paesi più industrializzati del mondo, di agire in maniera coordinata ma soprattutto concreta, per la crescita.

La settimana prossima, inoltre, sarà la volta della Bce che l'8 settembre potrebbe interrompere la sua politica attendista per dare il via ad un programma aggressivo di stimolo monetario: la deflazione come realtà ormai sempre più pericolosamente radicata nel Vecchio Continente, ha aumentato la pressione sulle dichiarazioni del governatore della Banca Centrale europea il quale, magari guardando all'immediato futuro, potrebbe arrivare ad allungare i tempi del Quantitative Easing, finora arrivati al marzo del 2017, portandoli al settembre dello stesso anno.

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