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Turchia: il vero Golpe è quello che sta succedendo adesso

Dopo il fallito golpe in Turchia della settimana scorsa è iniziata la repressione. O forse il vero golpe da parte di Erdogan.

Il vero golpe è adesso?

Innegabile, che le purghe, iniziate dall’ambiente militare, si stiano estendendo pericolosamente anche a quello giornalistico così come a quello scolastico, universitario e al mondo culturale in genere, passando per quello dei magistrati, arrestati in massa, forse come vendetta per quell’inchiesta per corruzione che mise in ginocchio il partito di Erdogan (AKP). Era il 2013. Tre anni fa, un tempo sufficiente, per il Sultano (soprannome del Presidente che suggerisce inquietanti risvolti futuri), per stilare una lista lunga e particolareggiata dei suoi nemici, lista di proscrizione da mettere in atto appena possibile.

Chi c’è dietro l’insurrezione?

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Se è vero che si è trattato di un tentativo effettivo e non di una montatura, il primo nome fatto da tutti è quello di Fethullah Gülen, rappresentante di un islam più moderato ma anche di con vasti interessi economici nella nazione. Il pericolo, adesso, è che la deriva islamista si impossessi della Turchia. Un sospetto che arriva, anche in virtù di un cambiamento da parte dello stesso Erdogan il quale, nel 1997, salì al potere assumendo un atteggiamento di apertura, per quanto minima, verso il problema curdo, la questione armena e quella cipriota. Solo successivamente, forte dell’appoggio popolare ma anche di interessi economici con il mondo islamico più intransigente presente per lo più nelle zone rurali del paese, è arrivato l’atteggiamento repressivo proprio a cominciare dall’ambiente curdo.

Cosa è successo veramente?

Mentre la notizia della repressione in atto in Turchia scende dalla parte alta dei giornali, il pensiero corre al fatto che, visti gli ultimi numeri pubblicati prima di finire in quarta pagina, il vero golpe sia quello in atto adesso, per opera dello stesso Erdogan. Con una celerità sospetta, migliaia e migliaia di persone sono infatti finite in prigione o obbligate alle dimissioni, persone la cui sorte, sempre più simile a quella dei desaparecidos argentini, è ben lungi dall’essere nota. Ma Erdogan, per quanto assurdo possa sembrare, è l’unico interlocutore possibile in quella Turchia che, se si sta allontanando dall’Ue, di certo non verrà additata come una dittatura: troppo vicina all’Europa, e metterla sotto accusa sarebbe un’ammissione pericolosa e scomoda che costringerebbe i capi di stato a prendere una posizione contro le evidenti atrocità commesse, non da oggi, da Erdogan stesso. Delle due l’una: o i militari che hanno dato il via al golpe sono stati scandalosamente impreparati (il che sembra strano in una nazione che è abituata ai colpi di stato per mano di un esercito che per per potenza e preparazione è l terzo in Europa), oppure il tutto è stato una triste, goliardica messa in scena, un teatrino organizzato prdaoprio Erdogan al quale serviva una comoda scusa per poter eliminare quelli che, da tempo, andava additando come suoi nemici.

Gli errori: veri o finti?

Di (KSE: 003160.KS - notizie) sicuro resta il fatto che, veri o finti che siano, gli errori ci sono stati. E tutti a favore del Sultano, il quale è riuscito a tornare al potere subito e più feroce di prima. Il primo, stando ad alcune ricostruzioni di Al Jazeera, sarebbe stata una fuga di notizie che avrebbe permesso ai servizi segreti turchi di venire a conoscenza del golpe (o putsch se si preferisce la dizione teutonica) con largo anticipo, il che ha portato i membri della congiura ad anticipare le mosse alla tarda serata di venerdì anziché alle 3 di notte come inizialmente progettato. Altro elemento che ha remato contro i golpisti, il fatto che la rivolta si è svolta nelle due grandi città, Ankara e Istanbul quando, notoriamente, la popolarità di Erdogan è di gran lunga più forte nelle zone rurali, ovvero la grande maggioranza del territorio nazionale. Questo spiega perchè la popolazione scesa in strada per difendere lo status quo, comprendeva non solo i sostenitori ufficiali di Erdogan, ma anche semplici cittadini coinvolti (o illusi) dalle promesse del Presidente, promesse che si basavano su maggiore sicurezza per tutti e il ritorno, sulla scena internazionale, di una grande Turchia. Il fatto che poi già in precedenza Erdogan avesse posto i suoi fedelissimi al comando delle cariche strategiche, in primis quelle della polizia ma anche dei vertici dell'esercito, ha senza dubbio aiutato non poco il Sultano e, durante le fasi concitate del golpe, si è dimostrato l'elemento decisivo per cambiare le sorti della storia. Ecco dunque spiegato, seppur teoricamente, come mai la maggior parte degli attori in scena abbia deciso di prendere le distanze proprio mentre le voci di una fuga di Erdogan, con annessa richiesta di asilo politico in Europa, si stavano diffondendo: in primis la Marina militare, quindi i generali, senza contare il silenzio della comunità internazionale, incerta sul da farsi anche in virtù della posizione storicamente strategica della Turchia, ora più che mai ponte tra Oriente ed Occidente. Una comunità internazionale che è attualmente costretta, come detto, ad accettare come interlocutore ufficiale Erdogan in mancanza di meglio. Un “meglio” che ancora non c'è, come il golpe stesso ha evidenziato.

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