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Il Venezuela costretto a importare petrolio Usa

Il Venezuela non ha soldi, non ha riserve monetarie con le quali pagare ciò che importa, non ha una struttura industriale ed agricola tale da poter potersi permettere il lusso di produrre il più possibile tra le mura domestiche.

Il petrolio: una condanna

Non solo ma l’unica sua fonte di ricavi, il petrolio è diventata una condanna. Prima di tutto il crollo delle quotazioni che solo adesso si sono stabilizzate intorno ai 45-50 dollari nel migliore dei casi, ma ciò che apparentemente potrebbe essere una buona notizia, in realtà non lo è: le caratteristiche fisiche del greggio venezuelano non si addicono alla commercializzazione diretta, infatti la materia prima, densa e pesante, dev’essere sottoposta a diversi processi di raffinazione prima di poter essere immessa sul mercato. Una necessità tecnica che porta con sè un aumento dei costi e che avrebbe potuto essere arginata con investimenti per rendere più moderni ed efficienti gli impianti. Cosa che i governi chavisti non hanno mai fatto.

I paradossi di Caracas

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Ma la situazionecrea addirittura ben due paradossi finora impensabili. Il primo è l’importazione del petrolio Usa, più leggero, indispensabile per “tagliare” quello sudamericano e renderlo vendibile. Il che fa lievitare enormemente i costi al barile (da precisare che Caracas ha riserve per quasi 300miliardi di barili), nonostante quello Usa sia economicamente più conveniente rispetto a quello russo e nordafricano, ma dall'altra parte fa anche aggravare i problemi sociali in cui è sprofondata la nazione. Infatti quel poco che ancora entra dalle vendite dell’oro nero, ormai quasi inutile, viene deviato per pagare debiti di stato e il petrolio statunitense. Il secondo, in realtà, trova radice nella pessima amministrazione politica avutasi durante il governo di Hugo Chavez il quale, circa 7 anni fa decise di nazionalizzare l’unico pozzo presente in Venezuela in grado di fornire petrolio leggero, quello, in sintesi, che adesso Caracas si trova costretta ad importare perchè da allora la sua produzione di light crude è crollata a poco più di 200mila barili al giorno contro punte massime raggiunte di oltre 450mila.

Inoltre non c’è motivo di comprare una materia prima mediocre quando il mercato deve scontare un eccesso di offerta fino al 2017 e quindi prezzi bassi anche per le qualità migliori. Tutto questo ha reso il petrolio di Caracas fuori mercato mettendo KO la voce che copriva il 90% delle entrate di stato.

La situazione non cambierà presto

Risultato: Pil in crollo del 16% dal 2015, anno di inizio della crisi del petrolio, fino alla fine del 2016 secondo le ultime proiezioni, mancanza di beni di prima necessità, tagli sulle cure mediche e negli ospedali, crisi sociale ed umanitaria.Intanto le ultime stime dell’International Energy Agency parlano di un calo degli investimenti da parte delle società petrolifere pari al 24% invece del 17% previsto a inizio anno, un taglio, dunque, più consistente del previsto (65 miliardi di investimenti dovrebbero essere tagliati già da quest’anno alla voce esplorazione, già vittima nel 2015 di altri 90 miliardi in meno) che fa intuire come le prospettive di un rialzo delle quotazioni siano ancora lontane.

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