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L'Europa mette i sementi tradizionali a rischio

La sentenza della Corte di giustizia europea, che il 12 luglio ha ribadito il divieto di commercializzare sementi di varietà antiche e tradizionali non iscritte al catalogo ufficiale europeo, ha di fatto impedito che si aprisse uno spiraglio per la creazione di nuove regole, non solo per il commercio, ma anche per la biodiversità.

La vicenda inizia nel 2005 quando la multinazionale francese, produttrice di sementi, Graines Baumax Sas, denuncia per concorrenza sleale la Kokopelli, un’associazione no-profit transalpina, impegnata nella salvaguardia e distribuzione delle sementi tradizionali e nel commercio di semi non iscritti al catalogo ufficiale. Nel 2008 la Kokopelli fu condannata a pagare una multa di 50mila euro. Ma l’associazione francese decide di impugnare la sentenza e di ricorrere alla Corte europea, sollevando il dubbio che le norme relative alla registrazione delle varietà orticole in un registro europeo vadano a ledere i diritti del libero esercizio dell’attività economica. E lo scorso maggio, in effetti, l’avvocato generale della Corte europea aveva dato ragione alla Kokopelli, annullando il verdetto del tribunale di Nancy; ma il 12 luglio la Corte di giustizia europea ha deciso di ribadire nuovamente la sentenza. La Graines Baumax, inoltre, ha chiesto un risarcimento di 100mila euro.

Insomma, per poter vendere sementi occorre che siano iscritti nel registro europeo. Diversamente è vietato. L’iscrizione, però, comporta un lungo iter, con costi di registrazione da sostenere, e le varietà devono rispondere a precisi criteri di stabilità, distinzione e omogeneità. A dire il vero, sono previste delle eccezioni mirate, soprattutto, a preservare la biodiversità. Le deroga alla direttiva 2009/145/CE che di fatto lascerebbe più spazio alla vendita di sementi tradizionali, però, non trova piena applicazione in quanto le deroghe sono valide solo all’interno dei territori originari delle sementi in questione e le condizioni di iscrizione al registro delle varietà arcaiche non differiscono di molto rispetto al registro europeo standard.

Alcune specie potrebbero scomparire. “Le sementi tradizionali sono condannate e la nostra biodiversità resta a rischio”, ha spiegato a La Repubblica, Cinzia Scaffidi del Centro Studi Slow Food. “Speravamo tutti che la sentenza della Corte europea si tramutasse nell’occasione per modificare il quadro normativo. Sembrava che sulla scorta di un atto formalmente non corretto, perché la Kokopelli ha commercializzato delle sementi non registrate, si potesse avere un cambiamento”. Che non c’è stato e le varietà selezionate nei secoli dal lavoro di contadini legati al territorio rischiano di andare perdute. “E’ complicato iscrivere queste specie al registro europeo – conclude la Scaffidi – perché difficilmente rispondono al requisito della uniformità. La legge è stata creata per le sementi “pure” selezionate dalle multinazionali ed è inadeguata a quelle della nostra tradizione, scelte in base alla varietà e alla resistenza”.

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Nella sentenza della Corte europea si legge che “l’obiettivo primario delle norme relative all’ammissione delle sementi e ortaggi consiste nell’ottenere una maggiore produttività delle colture di ortaggi nell’Unione. Orbene, l’introduzione di un catalogo comune delle varietà delle specie di ortaggi sulla base di cataloghi nazionali appare atta a garantire tale obiettivo”. A supportare la decisione europea c’è il ministero delle Politiche agricole che precisa come “il disposto della Corte di giustizia Ue conferma l’obbligo d’iscrizione ufficiale di una varietà prima della sua commercializzazione. L’obbligo d’iscrizione al registro ufficiale comunitario rappresenta un elemento di garanzia fondamentale, sia per i produttori agricoli che per i consumatori, in quanto un’autorità pubblica garantisce le caratteristiche delle varietà iscritte”. E l’ammissione di queste varietà nei registri nazionali, che automaticamente comporta l’iscrizione nel catalogo ufficiale europeo, non è soggetta ad una procedura particolarmente complessa. “Bastano una descrizione della varietà – continuano dal ministero – i risultati degli esami disponibili, le conoscenze acquisite con l’esperienza pratica durante la coltivazione, la riproduzione e l’impiego e la bibliografia storica. Inoltre non è previsto alcun costo di registrazione”. Secondo il ministero della Politiche agricole, quindi, “non è corretto sostenere che la sentenza in questione limiti la possibilità di commercializzazione e quindi di coltivazione di varietà tradizionali o antiche. Così come non è corretto affermare che si debbano sostenere alti costi per registrare le varietà antiche o tradizionali”.

Intanto la Puglia, però, è pronta anche lei a dare battaglia in difesa della biodiversità. “Con questa decisione – spiega l’assessore alle Risorse agroalimentari della Regione Puglia, Dario Stefàno – viene meno la salvaguardia delle varietà delle piante antiche, l’unica alternativa a sementi industriali e OGM”. Organismi geneticamente modificati e multinazionali contro piccoli agricoltori e tradizione contadina locale. “E’ evidente che un agricoltore non può sobbarcarsi un onere di tale portata. Il mio primo obiettivo sarà quello di garantire la possibilità di giungere a nuove norme di salvaguardia delle produzioni tradizionali”.


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