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Debiti Pa, Renzi guarda a modello spagnolo per sbloccare 60 mld

Il ministero del Tesoro visto da fuori. Roma, 8 ottobre 2008. REUTERS/Alessandro Bianchi (Reuters)

di Giselda Vagnoni ROMA (Reuters) - Il governo presenterà in un paio di settimane due emendamenti in grado di sbloccare il pagamento di circa 60 miliardi di debiti commerciali dovuti dalla PA alle imprese fornitrici attraverso un diverso utilizzo della Cassa depositi e prestiti (Cdp). "La Cdp può aiutarci a sbloccare cifre che immaginiamo attorno ai 60 miliardi [...] attraverso un meccanismo già utilizzabile con due emendamenti già pronti [...] mi dia 15 giorni", ha detto ieri sera Matteo Renzi. "Vogliamo fare quanto fatto dalla Spagna, dove c'era una situazione simile, mettendo immediatamente in circolo 60 miliardi con un effetto shock benefico e immediato" sulla crescita. Nelle ultime stime della Commissione Ue il Pil spagnolo è indicato all'1,0% nel 2014 e all'1,7% nel 2015 contro rispettivamente lo 0,6% e l'1,2% dell'Italia. Da inizio 2012 il governo spagnolo ha trasferito 42 miliardi alle regioni perché queste a loro volta liquidassero i fornitori. Ad oggi sono state pagate 8 milioni di fatture e Madrid sostiene di aver salvato 400.000 posti di lavoro. L'operazione è stata effettuata attraverso il Fondo para la Financiacion de los Pagos a Proveedores (Ffpp), finanziato per 6 miliardi dallo Stato e per il resto da un prestito sindacato di quasi tutte le banche spagnole con la garanzia dello Stato. Lo scorso anno l'Italia ha già provveduto al pagamento di 22,4 miliardi di arretrati e ha avviato le procedure per utilizzare altri 20 miliardi stanziati quest'anno per abbattere lo stock dei debiti accumulati dalla Pa a fine 2012. Per Renzi, però, i risultati sono ancora troppo modesti. Il meccanismo già utilizzabile di cui parla il presidente del Consiglio è contenuto nel decreto legge approvato dal governo di Enrico Letta l'anno scorso per accelerare i rimborsi facilitando la cessione delle fatture a banche e Cdp. L'articolo 11 del decreto stabilisce che i debiti di parte corrente della Pa, diversi da quelli dello Stato e certificati, "sono assistiti da una garanzia dello Stato". Per debiti di parte corrente si intendono quelle fatture che una volta pagate non incidono sul deficit pubblico ma solo sullo stock di debito. La garanzia "acquista efficacia solo all'atto dell'individuazione delle risorse", che confluiscono in un apposito fondo. Forti di questa protezione, le imprese fornitrici possono cedere il credito "ad una banca o ad un intermediario finanziario, anche sulla base di apposite convenzioni quadro". Il tasso di sconto non può comunque superare "il 2% dell'ammontare del credito". Il decreto non lo dice esplicitamente ma, in caso di morosità, le banche possono cedere i crediti alla Cdp entro un tetto annuo, che il presidente della Cdp Franco Bassanini ha indicato in 3-4 miliardi. Inoltre, avvenuta la cessione del credito l'amministrazione debitrice può negoziare con banche e Cdp "la ristrutturazione del debito" con un piano di ammortamento fino a un massimo di cinque anni, rilasciando delegazione di pagamento. 90 MILIARDI DI ARRETRATI Finora, però, l'articolo 11 è rimasto lettera morta perché le amministrazioni debitrici resistono al tentativo di far emergere l'esatta consistenza delle passività accumulate. Il Tesoro, inoltre, teme che un uso imprudente della Cassa possa spingere l'Europa a far consolidare le passività di Cdp (80,1% Tesoro e 18,4% fondazioni bancarie) nel bilancio pubblico. Secondo Marcello Messori, professore di Economia alla Luiss di Roma e uno degli ispiratori della legge insieme a Bassanini, gli emendamenti di cui parla Renzi dovrebbero intervenire sugli elementi di discrezionalità previsti nella legge. "Il non automatismo ha rallentato i pagamenti", ha detto Messori a Reuters. Non dovrebbe essere oggetto di preoccupazione, invece, l'emersione di ulteriore debito, dal momento che la Banca d'Italia ha già comunicato che a fine 2011 i debiti della Pa ammontavano a circa 90-91 miliardi di euro. "Le cifre sono di pubblico dominio. Questo debito esiste già e non aggrava la vulnerabilità del bilancio pubblico. Credo che lo sblocco totale dei pagamenti sarebbe recepito positivamente a livello europeo", ha detto ancora Messori. Per Nicola Rossi, professore di economia all'Università romana di Tor Vergata e presidente dell'Istituto Bruno Leoni, qualche problema si potrebbe porre dal momento che il debito italiano è il secondo nella zona euro in percentuale del Pil dopo la Grecia (133% nel 2013) e nel 2015 entra in vigore il Fiscal Compact. In base alle nuove regole, i paesi che hanno un debito superiore al 60% del Pil devono rientrare entro venti anni, il che per l'Italia vuol dire una riduzione del rapporto debito/Pil di oltre 3,5 punti l'anno. "Non credo che la strada da seguire sia quella della rinegoziazione del Fiscal Compact o di una sua interpretazione benevola", ha detto Rossi. "Ho l'impressione che la strada maestra sia quella degli accordi contrattuali di cui si comincia a parlare in Europa in cui, a fronte di una serie di impegni sulle riforme da fare, si ottengono in cambio concessioni". - hanno collaborato Giuseppe Fonte e James MacKenzie da Roma e Julien Toyer da Madrid Sul sito www.reuters.it altre notizie Reuters in italiano Le top news anche su www.twitter.com/reuters_italia