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Tagliare Irap o Irpef: cosa cambia per le tasche degli italiani

Le tasse saranno tagliate mercoledì, in occasione del prossimo Consiglio dei ministri, per un importo di 10 miliardi di euro. Fin qui le certezze perché, quanto alla destinazione di questo intervento, il Governo è ancora diviso: una parte dei ministri spinge per un taglio all’Irpef (Imposta sui redditi delle persone fisiche) e un’altra per l’Irap (Imposta regionale sulle attività produttive). Insomma si tratta di decidere se privilegiare le imprese o i lavoratori, anche se una schematizzazione di questo tipo rischia di condurre a conclusioni affrettate. Ecco perché è bene conoscere le grandezze in gioco.

Priorità al lavoro

Sin dal suo insediamento come premier, Matteo Renzi ha detto chiaramente di voler ridurre la tassazione sul lavoro come via privilegiate per rilanciare l’economia italiana. Sul piatto l’esecutivo ha messo 10 miliardi di euro, anche se non sono ancora state trovate le coperture. Secondo le prime stime, almeno 3-4 miliardi dovrebbero arrivare dalla spending review (l’azione di taglio alla spesa pubblica inaugurata da Carlo Cottarelli), altri 2-3 dall’accordo con la Svizzera per il rientro dei capitali e il resto dal calo dello spread. Le ultime due misure varranno con certezza solo per quest’anno (l’intesa con la Svizzera porterà risorse una tantum, mentre sullo spread non si può mettere la mano sul fuoco per il futuro), ma a partire dal 2015 sono attese maggiori entrate dal fronte della spending review, che dovrebbe consentire di coprire interamente lo sgravio.

Le opposte fazioni

Sulla destinazione delle risorse si sono formati da subito due schieramenti opposti: da una parte i sindacati, che chiedono di optare senza tentennamenti per il taglio dell’Irpef minacciando altrimenti conseguenze negative nei rapporti con il sindacato; dall’altra Confindustria, che propende per l’intervento sull’Irap, spalleggiata dal ministro dello Sviluppo Economico (nonché ex-presidente dei Giovani di Confindustria) Federica Guidi. Per il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, “soltanto attraverso una riduzione del costo del lavoro le aziende italiane rimarranno competitive e ci sarà ancora una possibilità di attrarre investitori esteri o di far sì che gli investitori esteri mantengano gli investimenti che hanno già in Italia”.

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Sull’altro fronte, il segretario della Cgil, Susanna Camusso, sottolinea che “il taglio dell’Irpef sarebbe un’ottima notizia” e afferma che, in caso di mancata attenzione da parte del Governo, è pronta allo sciopero. La priorità resta la stessa per il numero uno della Cisl, Raffaele Bonanni, ma i toni sono più sfumati: “Le imprese ed i lavoratori sono sulla stessa barca. Ma concentarsi sull’Irpef aiuta i consumi e quindi le imprese. Renzi faccia un patto!”.

Il differente impatto della misura su occupazione e stipendi

Le differenti posizioni riflettono due modi opposti di affrontare i problemi, che oggi in Italia sono soprattutto due: la disoccupazione ormai al 12,9% e i consumi, calati lo scorso anno del 2,6% (dopo il -4,0% fatto registrare nel 2012) e ormai prossimi ai livelli di 30 anni fa.

Puntare sul taglio dell’Irpef vorrebbe dire mettere più soldi nelle tasche dei lavoratori, con l’auspicio che questo li spinga poi a consumare di più (per spingere su questo fronte, lo sgravio dovrebbe essere concentrato sui redditi bassi e medi). Un incremento degli acquisti, infatti, spingerebbe le aziende a produrre di più e, in teoria, dovrebbe portare a una maggiore occupazione. All’opposto, agire dal lato dell’Irap sarebbe un vantaggio sul costo del lavoro posto a carico delle imprese, che a quel punto sarebbero più incentivate ad assumere. In entrambi i casi si tratterebbe di stimoli dal ritorno incerto, ma il precedente del 2007, quando il governo Prodi tagliò il cuneo fiscale di 7 miliardi e mezzo (distribuendo lo sconto per il 60% sulle imprese e per il 40% sui lavoratori), offre comunque qualche indicazione. L’impatto allora fu minimo, sia perché la riduzione fu limitata per entrambe le categorie, sia perché nel frattempo arrivò la crisi mondiale.

Dunque è importante che tutte le risorse (che non sono comunque tante) vengano concentrate verso un’unica direzione, ricordando che la misura potrà assumere una certa consistenza solo se combinato con gli altri interventi di cui si parla in questi giorni, dallo sblocco totale dei debiti della Pa verso le imprese alla riforma del Fisco e del mercato del lavoro.