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DOSSIER - Quattro banche, un conto da 5 miliardi per un salvataggio ancora incerto

Un'agenzia di Banca Etruria in centro a Roma. Foto del 10 maggio 2016. REUTERS/Tony Gentile (Reuters)

di Stefano Bernabei e Giuseppe Fonte ROMA (Reuters) - Da quando quattro banche regionali sono finite in risoluzione è passato quasi un anno. Finora il loro salvataggio è costato a obbligazionisti, industria del credito, Stato e, buoni ultimi, anche alcuni ignari correntisti, circa 5 miliardi. È stato cioè oltre il doppio dei 2 miliardi che il Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd), finanziato dalle banche e senza soldi pubblici, era pronto a mettere per ricapitalizzare Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti e CariFerrara, salvandole, però senza pulirle delle sofferenze, per poi risanarle nel tempo necessario. Ma la Ue si oppose dopo un lungo e infruttuoso negoziato con l'Italia. Ora il rischio maggiore è che il costo di questo salvataggio, montato con le nuove regole per proteggere i contribuenti, non salvi ne' le banche né i loro quasi 6.000 dipendenti. La cessione delle banche risanate doveva avvenire ad aprile, è stata prorogata a settembre e poi slittata, ma ancora non c'è alcuna certezza che vada in porto. La risoluzione di queste quattro banche rischia di pesare anche sul rapporto debito/Pil. I soldi messi nel fondo di risoluzione, considerati da Eurostat nella Pa, hanno fatto aumentare nel 2015 il rapporto debito/Pil di 0,1 punti. Il target del governo per il debito/Pil nel 2016 a 132,8% conta sul fatto che il Fondo rientri dei soldi spesi per il salvataggio con la vendita delle quattro banche ponte. Ma se i soldi non arrivano, il debito sale. Il rischio principale è però un altro e più grave: una mancata vendita aprirebbe la strada alla liquidazione degli istituti, in due anni al massimo, secondo la direttiva europea Brrd. "Con la liquidazione si aprirebbe uno scenario da effetto domino su tutto il Paese, assolutamente da evitare. Sono sicuro che le banche, agendo come sistema solidale, sapranno scongiurare questo rischio", ha detto Riccardo Colombani che segue per First Cisl questa vicenda della risoluzione. Finora, tra contributi al fondo di risoluzione (2,4 miliardi), prestiti ponte (1,7 miliardi) e i circa 700 milioni per il fondo volontario creato dalle banche presso il Fondo interbancario dei depositi - effetto indiretto delle nuove regole - l'apporto delle banche sane per le banche in crisi si avvicina a 5 miliardi di euro. GIUDIZI CRITICI SU REGOLE UE DA BOI E ABI Le quattro banche sono state messe in risoluzione a fine novembre usando per la prima volta in Italia il nuovo sistema europeo che mira a preservare i contribuenti dal costo dei salvataggi, caricandolo su azionisti e titolari di attività più rischiose. La nuova procedura ha così fatto azzerare tutte le azioni e 430 milioni di obbligazioni subordinate in mano ad oltre 10.000 clienti retail, in gran parte piccoli e piccolissimi risparmiatori infuriati contro il governo e le banche. Questo meccanismo di risoluzione delle banche, sta funzionando come prometteva? "Il principio di salvaguardare i contribuenti e far pagare non solo gli azionisti ma anche i clienti della banca in difficoltà - sebbene applicato tardivamente, a un Europa che aveva visto i maggiori paesi (diversi dall'Italia) già caricare sui contribuenti il salvataggio di numerose banche gravate dai postumi della crisi finanziaria globale – è in linea di principio giusto", ha detto il direttore generale della Banca d'Italia Salvatore Rossi a Reuters. "Trascura però il fatto che le banche non sono aziende qualsiasi: maneggiano la fiducia della gente, che si esprime anche nell'acquisto delle loro obbligazioni o nel depositare somme anche grandi presso di loro", ha aggiunto il numero due di via Nazionale, secondo il quale, "colpire questi soggetti, che possono essere decine di migliaia, mina la fiducia nel sistema e in ultima analisi la stabilità finanziaria dei Paesi e dell'area intera". Anche Antonio Patuelli, presidente Abi, fa un'analisi critica dello stato dell'Unione bancaria e ritiene auspicabile una verifica. "C'è una Vigilanza unica, ma le normative in materia di diritto bancario, di diritto dei mercati finanziari, di diritto tributario, di diritto fallimentare e di diritto penale dell'economia sono tutte diverse tra uno Stato e l'altro dell'Ue. Così non si va avanti", dice a Reuters. Per alcuni dei risparmiatori colpiti è partito da meno di un mese un sistema di rimborso a forfait gestito dal Fondo interbancario dei depositi (Fitd). In circa 2.000, sui 6.500 previsti, hanno fatto richiesta di rimborso. Salvatore Paterna, vice direttore generale del Fitd ha detto che sono stati liquidati rimborsi per 4,7 milioni di euro, quasi tutti sotto 50.000 euro e la metà sotto 10.000. INDENNIZZI A FORFAIT E RISCHIO ESUBERI Il Fondo, dopo essersi visto bocciare la soluzione che pensava migliore, si trova obtorto collo a gestire una delle conseguenze più spinose della risoluzione, cioè l'indennizzo dei bondholder. Con le vecchie regole il salvataggio "sarebbe costato 2,1 miliardi e ci sarebbe stato il tempo di ristrutturare le banche", ha detto a Reuters Giuseppe Boccuzzi, direttore generale del Fitd, che sta firmando uno per uno le autorizzazioni al rimborso. Il Fondo ha dovuto assumere 5 persone per smaltire più velocemente le migliaia di pratiche. L'altro canale per tutelare gli obbligazionisti che lamentano di essere stati vittime di misselling (vendita impropria) è la procedura arbitrale che verrà attivata a breve con un decreto in via di emanazione del Tesoro e del ministero della giustizia, coinvolgendo l'Anac e lo stesso Fondo interbancario dei depositi. Oltre agli obbligazionisti, stanno pagando anche i lavoratori delle banche. In tre dei quattro istituti, ha detto Colombani, sono stati fatti accordi per giornate di solidarietà che, viste le scarse risorse del fondo esuberi di settore, sono in gran parte pagate dai bancari. "In Carife sono 20 giorni all'anno, in pratica una mensilità in meno, ad Arezzo e Chieti è un po' meno. In Banca Marche non c'è ancora nulla". Poi quando le banche verranno cedute, "ci aspettiamo esuberi importanti, perché lo sport nazionale è diventato il tiro al bancario". CORRENTISTI COLPITI Tra le 'vittime' della risoluzione sono spuntati recentemente anche i correntisti di alcune grandi banche nazionali. Molti depositanti, riferisce l'associazione dei consumatori Aduc, hanno ricevuto una notifica unilaterale di rincaro delle condizioni del conto motivata, in alcuni casi, dai "contributi al neo costituito fondo di risoluzione". Un correntista romano della Banca popolare di Novara, gruppo Banco popolare, ha mostrato a Reuters la comunicazione ricevuta in cui si annuncia come maggiorazione "un importo massimo di 25 euro". In altre parole, alcune banche stanno girando sui loro clienti il costo che hanno dovuto pagare, previsto dalla legge, per finanziare la risoluzione delle quattro banche. Il fatto dimostra quanto le banche, in genere, abbiano digerito molto male questa soluzione, che sta pesando sui loro bilanci e che rischia di costare loro ancora caro. "Sul caso good banks c'è sicuramente malumore tra le banche, in particolare le tre più coinvolte, perché a distanza di un anno non si è ancora risolto nulla", dice una fonte bancaria. Il salvataggio fatto dal Fondo di risoluzione è costato oltre 4 miliardi. Di questi, 2,4 miliardi sono stati messi quasi subito dalle circa 600 banche sane del sistema, come contributo ordinario e straordinario. Per colmare la differenza, il Fondo si è fatto prestare 1,7 miliardi circa da Intesa SP, Unicredit, Ubi e Monte dei Paschi. Cassa depositi e prestiti ha fornito una garanzia alle banche creditrici impegnandosi a intervenire nel caso in cui le risorse del Fondo non siano sufficienti a rimborsare il prestito entro il termine del 20 maggio 2017. Se il Fondo di risoluzione non dovesse avere nel frattempo una dotazione sufficiente per gli interventi, la Banca d'Italia potrebbe chiedere alle banche un contributo addizionale, pari a una annualità, che nel 2016 è stata di circa 730 milioni. Il rischio che le banche sane debbano mettere mano al portafoglio non è remoto. Mentre Cdp potrebbe maturare un credito quinquennale verso il Fondo di risoluzione, se dovesse scattare la garanzia che ha dato alle banche finanziatrici. Salvate a fine novembre, separando le loro sofferenze in una bad bank (la REV) dalla parte buona, le quattro banche hanno però nel frattempo accumulato altri incagli e sofferenze, che a fine giugno ammontano a oltre 4 miliardi lordi (circa 3,5 miliardi netti) e con una perdita d'esercizio complessiva di 134 milioni. Per inciso, la Rev è un oggetto misterioso che in un anno scarso ha già cambiato il vertice e ha siglato accordi con le stesse banche ponte a cui ha dato in servicing la gestione dei quasi 9 miliardi di sofferenze, che ha in carico a poco più del 22% del valore. Non è chiaro se per gestire, cedere, cartolarizzare e in che tempi, queste sofferenze. In un caso analogo la Sga, nata per gestire le sofferenze del Banco di Napoli, ha recuperato quasi 6 miliardi di euro in 20 anni. Ubi ha manifestato l'intenzione di acquisire tre istituti su quattro, ma vuole evitare che i nuovi deteriorati di Banca Marche, Banca Etruria e CariChieti le costino un aumento di capitale, quantificato dalla Bce in 600 milioni secondo fonti vicine al dossier. Quindi potrebbe tirarsi indietro. Il governo sta esercitando pressioni sul fondo Atlante perché rilevi le sofferenze e permetta a Ubi di chiudere la transazione, riferisce una fonte governativa. Un'altra fonte spiega che il fondo gestito da Quaestio sgr dovrebbe comprare 3,5 miliardi di crediti deteriorati netti. Atlante sarebbe freddo sul tema. Se anche questa strada fosse impercorribile, si tornerebbe al punto di partenza. Chiedendo alle banche sane di ricapitalizzare il braccio volontario del Fondo interbancario, per salvare di nuovo le banche che non ha potuto salvare a novembre. - Hanno contribuito da Milano Gianluca Semeraro, Andrea Mandalà Sul sito www.reuters.it altre notizie Reuters in italiano. Le top news anche su www.twitter.com/reuters_italia