Perché il bail-in è costituzionale
Si parla molto di incostituzionalità del bail-in, specie da parte di chi rappresenta gli interessi delle banche. Si tratta però di argomentazioni prive di fondamento, a meno che non si voglia sostenere che è incostituzionale che le banche falliscano. Esiste però un grave problema di transizione.
Chi paga per le perdite
Si sono rincorse, sulla stampa e anche su questo sito, voci sull’incostituzionalità del bail-in, specie da parte di chi rappresenta gli interessi delle banche.
Che cos’è il bail-in? L’idea di fondo è che a pagare per le crisi bancarie non debba essere lo stato, e quindi il contribuente, ma chi investe nel capitale delle banche (gli azionisti) e i creditori, in ordine di rango. Per coprire le perdite prima si annulleranno le azioni ordinarie, poi quelle postergate nelle perdite, poi gli obbligazionisti subordinati, poi gli obbligazionisti “normali”, e così via, fino ai depositanti. Non sono toccati i depositi sotto i 100mila euro. E anche con importi superiori, il rischio di perderli in caso di crisi è alquanto remoto per le persone fisiche, le microimprese e le Pmi. Dal 2019 in poi in Italia, peraltro, tutti i depositi, anche quelli delle grandi imprese o delle pubbliche amministrazioni, saliranno nella gerarchia dei crediti, allontanandosi dal rischio del bail-in.
Benché teoricamente lineare, il sistema è certamente di complessa applicazione. In particolare, la difficoltà maggiore è di accertare fino a che punto occorra procedere con il bail-in, il che rimanda alla difficoltà di giungere in tempi rapidi a corrette valutazioni. Tuttavia, nel suo impianto generale, il meccanismo non fa altro che far pagare le perdite, nell’ordine giusto, a chi se ne è assunto il rischio. Infatti, scarica le perdite sugli stessi soggetti che le avrebbero subite in caso di fallimento della banca, e può solo trattarli meglio del fallimento, mai peggio (principio del “no creditor worse off”).
Perché allora il bail-in dovrebbe essere incostituzionale?
Meglio del fallimento della banca
Le banche sono imprese ed è, dunque, inevitabile che se sbagliano i propri investimenti (come quando prestano denaro a chi non lo restituisce) cadano in dissesto. In questo caso, il problema non è se ci sono perdite, ma individuare chi debba sostenerne il peso.
Anche in passato le banche fallivano ma, mentre gli azionisti perdevano le loro partecipazioni, i creditori non venivano toccati, perché (almeno nelle crisi più grandi, come per il Banco di Napoli) a coprire le perdite interveniva lo stato, con i soldi dei contribuenti. Oggi, dopo la stagione dei salvataggi pubblici del 2008-2012 (cui l’Italia non ha partecipato), l’Europa si è data regole che li rendono possibili a precise condizioni, fra cui la compartecipazione di azionisti e possessori di obbligazioni subordinate al costo del salvataggio. Questo ha creato grande sconcerto a novembre, quando, con le nuove regole, ci si è trovati a gestire la crisi di quattro banche di medie dimensioni.
In sostanza, l’alternativa che si presenta oggi non è più tra fallimento e salvataggio a spese pubbliche, ma tra fallimento e bail-in, che tratta meglio del fallimento (o comunque non peggio) gli investitori e i depositanti.
Dov’è, allora, il problema? Per quale motivo dovrebbe essere incostituzionale il bail-in? Difficile sostenere che sia incostituzionale che le banche falliscano e che si dovrebbe sempre salvarle a spese dei contribuenti.
Tutela del risparmio e tutela della proprietà
L’interpretazione secondo cui dall’articolo 47 della Costituzione, che tutela il risparmio, discenderebbe l’incostituzionalità del bail-in, perché i “risparmiatori” devono essere tutelati, è bizzarra. La Costituzione incentiva il risparmio, ovvero l’accantonamento di una porzione del proprio reddito; ma non può certo spingersi a tutelare qualsiasi forma di investimento fatto con quel risparmio. È risparmio anche quello investito in azioni o in obbligazioni non bancarie: perché non garantire anche quelle? (In realtà, ogni tanto qualcuno ci prova, come accadde con Alitalia (Stoccarda: 2278962.SG - notizie) ). L’argomento, poi, non chiarisce chi mai dovrebbe garantire questi “risparmi”, se non la fiscalità generale: con il risultato di togliere denaro anche a chi non ha mai avuto nulla da risparmiare, come tanti contribuenti.
Alquanto fumoso (ed espressamente rigettato dalla decisione della Corte di giustizia del 19 luglio 2016) è l’argomento basato sull’articolo 42 della Costituzione, che, come la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, tutela il diritto di proprietà: nel caso di bail-in, le azioni, le obbligazioni e i crediti che vengono toccati sarebbero comunque perduti se la banca fallisse. Sarebbe strano sostenere che è legittimo dare zero a un creditore con il fallimento e, invece, incostituzionale fare lo stesso con il bail-in.
Un (gigantesco) problema di transizione
Su una cosa hanno qualche ragione i critici del bail-in: occorre fare i conti con il contesto istituzionale. Il problema del sistema bancario italiano non è il bail-in, ma una situazione in cui le obbligazioni subordinate e le azioni delle banche, ovvero i primi livelli finanziari a essere azzerati in caso di crisi, sono troppo spesso in mano a risparmiatori sprovveduti, mal consigliati o addirittura frodati dalle banche stesse.
Molte volte chi ha perso non avrebbe mai dovuto avere in portafoglio, e soprattutto non in elevata concentrazione, quei titoli. Gestire il presente non è facile, e la mobilitazione generale per evitare il bail-in di Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Monte dei Paschi (Milano: BMPS.MI - notizie) lo dimostra.
Di Lorenzo Stanghellini e Andrea Zorzi
Autore: La Voce Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online