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Il petrolio ancora intorno ai 50$ ma si temono nuovi ribassi

Chi opera sul petrolio adesso guarda al 2 giugno, data in cui i produttori Opec si incontreranno di nuovo a Vienna per decidere la strategia da adottare. Pochi i possibili colpi di scena, ancora di meno quelli positivi dal momento che l’Organizzazione dei Paesi esportatori non sta attraversando un buon periodo, anzi, quello odierno è forse il momento di crisi più grave mai attraversato.

La crisi dell'Opec

Monopolizzata al suo interno dalla corrente capitanata dall’Arabia Saudita, l’Opec si trova a non avere più l’influenza e il potere decisionale dimostrato in passato a causa di una concorrenza esterna di nazioni che hanno scoperto un ruolo di produttori di greggio che prima non avevano (vedi Usa e rivoluzione shale oil) oppure che hanno incrementato a livelli record una produzione di per sè già ampia (vedi Russia e Canada). Il tutto senza contare la guerra tra le due grandi potenze dell’area mediorientale, ovvero Arabia Saudita e Iran con quest’ultimo appena tornato sui mercati internazionali e di certo non intenzionato a limitare il suo output solo per permettere al petrolio di trovare un nuovo equilibrio tra domanda e offerta, equilibrio che da parte sua Ryad sta tentando di ottenere puntando a minare le basi della produzione statunitense, contando sul continuo aumento dei fallimenti delle società a stelle e strisce.

Il petrolio e i 50 dollari

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In realtà una mano per la ripresa delle quotazioni è stata data anche dall’inasprirsi della guerriglia in Nigeria e dalle azioni di sabotaggio agli impianti delle multinazionali presenti nella zona del Delta del Niger; il problema principale per la nazione africana, così come anche per gli altri paesi dell’Opec, Venezuela in testa, resta sempre quello di non riuscire a gestire con disinvoltura una crisi dei prezzi che ha messo in ginocchio le rispettive economie causando, come a Caracas, appunto, una vera e propria rivolta popolare con tanto di intervento dell’esercito. Per questo, se da una parte da corrente araba punta per un mantenimento di produzione ancora alto per distruggere la concorrenza Usa vittima di una produzione più costosa rispetto a quella Opec (secondo le stime dell’organizzazione, la produzione Usa dovrebbe aggirarsi intorno ai 4milioni e 300mila barili per quest’anno), dall’altra alcune nazioni del gruppo da tempo protestano violentemente anche a causa del fatto che, da sole, riducendo l’offerta senza una strategia orchestrata, avrebbero solo l’effetto di perdere ulteriori quote di mercato.

Le (Taiwan OTC: 8490.TWO - notizie) previsioni sulla produzione

Da qui perciò l’obbligo di continuare a inondare il mercato per riuscire, se non alto a incassare i costi di produzione a discapito dei deficit che continuano a salire. Un altro fattore che ha reso possibile, per quanto momentaneamente, l’aumento delle quotazioni, si è verificato dall’altra parte del mondo, e cioè in Canada, dove numerosi incendi(per la precisione nella provincia di Alberta) hanno creato una serie di interruzioni nelle forniture: per la nazione nordamericana si parla di un crollo di un terzo della produzione.

Il tutto ha permesso così al barile di arrivare a toccare i 50 dollari (attualmente sia il Brent che il Wti gravitano poco sotto questa soglia entrambi appaiati a 49,43 dollari ) proprio mentre si organizza, come accennato, il prossimo incontro del 2 giugno a Vienna. All’ordine del giorno si parlerà di una new entry e cioè il Gabon che potrebbe aumentare le fila dei rappresentanti dell’Opec ma anche i migliaia di barili ascrivibili all’organizzazione. Tradotto in numeri si parla di 240mila barili al giorno che si andrebbero ad aggiungere ai già 32,5 milioni dell’Opec registrati il mese scorso.

La view degli analisti

Le proiezioni degli analisti si dividono fra quelli che identificano un nuovo range tra i 35 e i 50 dollari al barile, come nel caso delle previsioni di Gattiker-Ericsson, stratega di Julius Baer, a casi estremi di pessimismo come per Francesco Filia, CEO of Fasanara Capital, che parla di un barile a 10 dollari entro 10 anni a causa di innovazioni tecniche che permetteranno di incrementare ulteriormente la resa dei pozzi e la loro durata che, nel caso dello shale è più limitata rispetto ai giacimenti classici.

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