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Troppi kiwi ma mancano i braccianti, la Nuova Zelanda arruola i turisti

La Nuova Zelanda è il terzo Paese produttore di kiwi al mondo, dopo Cina e Italia (Getty)
La Nuova Zelanda è il terzo Paese produttore di kiwi al mondo, dopo Cina e Italia (Getty)

di Fabrizio Arnhold

In Nuova Zelanda c’è un’emergenza. Quella che riguarda i kiwi. E non c’entrano niente le calamità naturali, a ostacolare il consumo del frutto nazionale è la mancanza di braccia. Secondo i colossi dell’agroalimentare mancano all’appello 1.200 lavoratori senza i quali non sarà possibile terminare il raccolto entro giugno.

La Nuova Zelanda è il terzo produttore al mondo

Incredibile, i disoccupati preferiscono patire la fame pur di non faticare”, lamentano i produttori neozelandesi. Un vero problema se si considera che la Nuova Zelanda è il terzo produttore al mondo di kiwi, dopo Cina e Italia. La richiesta del frutto, che porta lo stesso nome dell’uccello con cui condivide la gloria nazionale, è cresciuta generando nel 2018 un 19 per cento in più di frutta prodotta.

La versione dei sindacati

Secondo i sindacati la raccolta di kiwi è particolarmente faticosa e comporta il trasferimento di braccianti nella regione di Bay of Plenty. “Se il salario settimanale è di 540 dollari neozelandesi (circa 320 euro) e i costi di affitto sono di 400 dollari (235 euro) alla settimana, lavorare di fatto non conviene”, denuncia Annie Hill di Priority One, associazione per lo sviluppo economico della regione.

6mila persone senza lavoro

Nonostante ci siano 6mila persone senza lavoro nella Bay of Plenty, i kiwi continuano a rimanere sui rami. “Stiamo cercando una mediazione per alzare i salari (in media un’ora di lavoro viene pagata 16,50 dollari neozelandesi (meno di dieci euro, ndr)”, ha spiegato il consigliere regionale Mike Bryant. Ma ci vuole tempo per trovare un accordo e mentre si discute, i kiwi marciscono.

La soluzione

Il governo, copiando la limitrofa Australia, ha deciso di estendere i visti ai turisti disposti a fermarsi per lavorare nei campi. Ma ci sono delle controindicazioni. “In Paesi che hanno sperimentato simili politiche sono stati registrati gravi abusi. I backpackers (i giovani zaino in spalla), attirati con la promessa di un lavoro, vengono pagati una miseria. E chi protesta viene bullizzato”, è la denuncia delle associazioni per i diritti dei lavoratori.