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Minijob: in Germania è boom del lavoro da 400 euro al mese

Piena occupazione. In Germania se ne parla sempre di più, tanto da far titolare all’autorevole Frankfurter Allgemeine Zeitung che ci sarà “lavoro per tutti”. La campagna elettorale è cominciata e il tasso di disoccupazione al 5,4% (contro il 10,9% della media europea e l’11,5% dell’Italia) è una delle armi che Angela Merkel si giocherà nella corsa alla riconferma alla guida del Paese. Certo si è ben lontani dallo 0,6% raggiunto negli Anni Settanta, ma il lavoro ha tenuto, il Paese continua a valorizzare i giovani, l’innovazione e la ricerca e cerca di non lasciare nessuno per strada.

Quest’anno i disoccupati sono scesi sotto i 3 milioni, il prossimo anno saranno meno di 2,9 milioni. Ma nel boom dell’occupazione c’è un nuovo fenomeno che sembra “dopare” le statistiche, quello dei minijob.

Il geringfügige Beschäftigung ovverosia l’occupazione marginale è uno dei fenomeni che ha consentito alla Germania di contenere le percentuali della disoccupazione, in particolar modo di quella giovanile. Il minijob è anche chiamato “400-euro-job” in quanto prevede una remunerazione massima di 400 euro al mese (450 euro dopo il 1° gennaio 2013) ed è la faccia meno nota del boom occupazionale tedesco.

Se da una parte questo tipo di contratto non prevede il pagamento di tasse e può essere integrato dagli aiuti sociali, dall’altra genera fra i lavoratori un diffuso malcontento poiché difficilmente questi contratti vengono normalizzati. Anche se né i sindacati, né gli imprenditori sono contenti di questa soluzione, il numero di lavoratori assunti con questo tipo di contratto è di 7,3 milioni, vale a dire quasi due volte e mezza il numero dei disoccupati tedeschi.

È chiaro che questo dato getta una luce nuova sulla Germania “über alles” nell’Europa dei 27 (seconda alla sola Austria in termini assoluti) per quanto riguarda l’esiguità del tasso di disoccupazione. Se si considera che un lavoratore su quattro in Germania è scarsamente retribuito allora il boom occupazionale diventa un boom con tanti “se” e “ma”.

Introdotti nel 2003 con lo scopo di rivitalizzare l’occupazione e di fungere da trampolino, i minijob sono diventati, nel giro di un decennio, un vero e proprio cuscinetto sociale fra occupati e disoccupati. Per 5 dei 7,3 milioni di occupati il minijob rappresenta l’unica forma di occupazione, per i restanti 2,3 milioni il mini-lavoro viene combinato con un’altra occupazione part-time che permette di arrotondare lo stipendio.
 
Negozi, grandi magazzini, hotel e ristoranti, tutti i settori dove occorrono implementazioni temporanee del personale, sono gli ambiti in cui i minijob si sono sviluppati in maniera più evidente, tanto che nel periodo 2000-2008 il numero di questi contratti è addirittura quintuplicato.

I ricercatori dell’Università di Duisburg-Essen hanno condotto uno studio su questi lavoratori evidenziando come essi lavorino più ore percependo uno stipendio inferiore, senza poter usufruire di ferie e malattie retribuite. Le categorie maggiormente soggette a questo tipo di contratti sono i giovani under 25, gli stranieri e le persone prive di formazione professionale. Al contrario, per alcune categorie professionali il minijob rappresenta un’ottima opportunità: per gli studenti, per esempio, l’attività ridotta si può facilmente conciliare con lo studio. Ma il minijob può diventare una forma di integrazione del reddito anche per chi un lavoro ce l’ha già, magari dal lunedì al venerdì, e vuole integrare con un’attività supplementare da svolgere nel week end.