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Atlante? Una pericolosa incognita sul lungo periodo

L'Europa bancocentrica da tempo deve fare i conti con se stessa e soprattutto con il suo sistema di credito. L'Italia, come il FMI ha recentemente ammesso, rischia di creare una deflagrazione all'interno del sistema Europa. Per questo motivo il governo e le banche, oltre ad altri enti di credito, hanno dato vita ad Atlante, il fondo il cui capitale, messo a disposizione dalle banche stesse, permetterà una gestione migliore delle sofferenze e una facilitazione delle ricapitalizzazioni. Ma come il mercato stesso sta intuendo, non è tutto oro quello che luccica. Per quale motivo? A rispondere è l'economista Mario Seminerio.

In questi giorni il vero protagonista dei mercati si chiama Atlante, una soluzione che, a detta del governo, dovrebbe risolvere un problema titanico come quello del settore bancario italiano. Sarà vero?

Lo strumento nasce da un'esigenza molto precisa: quella di evitare che l'aumento di capitale più vicino a noi nel tempo, e cioè quello di Popolare di Vicenza ad opera di Unicredit (EUREX: DE000A163206.EX - notizie) , vada male, cosa che tra l'altro abbatterebbe i coefficienti patrimoniali di Unicredit, unica banca italiana considerata globalmente come sistemica dagli organismi internazionali. Per questo motivo il sistema non ha voluto correre rischi: infatti investire in banca in questo momento non sembra un'opzione particolarmente attraente per tutta una serie di motivi. Prima di tutto l'enorme stock di sofferenze che le banche hanno accumulato e il cui valore di recupero è molto incerto, un valore che rischia di essere anche sensibilmente inferiore rispetto a quello iscritto a bilancio. In secondo luogo c'è anche il fatto che con i tassi a 0 o addirittura negativi, gli istituti tendono a perdere drammaticamente redditività, per cui il business del credito perde a sua volta appetibilità. Atlante nasce perciò dalla volontà di evitare che Unicredit finisca destabilizzata e magari, ma questo qualche settimana dopo, insieme ad Intesa che sarà invece garante dell'aumento di capitale di Veneto Banca. Per entrambe c'è il pericolo di un aumento di capitale andato male male, ovvero senza azionisti interessati ad acquistare. Ecco perciò che Atlante diventa un veicolo che allarga a tutto il sistema finanziario italiano la funzione di consorzio di garanzia le ricapitalizzazioni più immediate, quelle previste nelle prossime settimane. Dopodichè su impulso del Tesoro e di quello che è l'altro regista dell'operazione, e cioè Giuseppe Guzzetti patron delle fondazioni bancarie italiane, si tenterà di andare a togliere una buona porzione di sofferenze dal portafoglio delle banche, comprandole a un prezzo che verosimilmente dovrebbe essere vicino a quello che gli istitui hanno iscritto a bilancio ora. E non sotto. Questo perché se si comprassero le sofferenze a prezzi inferiori a quelli di bilancio le banche avrebbero delle perdite che ne abbatterebbero il capitale, costringendole a nuove iniezioni di liquidità per rafforzarlo. Da qui il rischio di determinare una sorte di autointossicazione del sistema stesso.

Quali conseguenze derivanti dall'adozione di Atlante all'interno di un sistema di credito fragile come appunto quello italiano?

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Nel (Londra: 0E4Q.L - notizie) breve periodo, ma ripeto ancora breve, Atlante potrebbe aiutare, almeno per quanto riguarda il consorzio di garanzia sulla Popolare Vicenza e poi, tra qualche tempo, anche su Veneto Banca. Dopodichè è chiaro che se Atlante diventerà padrone di una o due banche bisognerà vedere come queste saranno gestite. Il problema di fondo è quello di un conflitto di interesse: se un gruppo di banche italiane attraverso Atlante diventasse padrone di un altro istituto come lo gestirà? Lo terrà al minimo oppure gli permetterà di crescere? E in che modo? Con ulteriori aumenti di capitale?

Come ho detto in precedenza, questo è un problema dettato da una forte criticità, dal rischio che l'aumento di capitale di Popolare di Vicenza non venga sottoscritto con conseguenti problemi sia per Unicredit (possibile destabilizzazione sia per la Popolare di Vicenza, la quale, a sua volta, potrebbe incorrere nel commissariamento da parte della Banca Centrale Europea con conseguente spettro del bail in. Personalmente credo che dopo quanto accaduto alle quattro banche commissariate e messe in risoluzione il 22 novembre (con annesso grave trauma sull'opinione pubblica), se quella dinamica dovesse ripetersi su una banca oggettivamente più grande ci sarebbero problemi per l'intero paese. Per cui comprendo le motivazioni emergenziali che hanno spinto alla creazione di Atlante, ma queste non sono garanzia di funzionamento oltre il brevissimo periodo. Infatti anche ipotizzando che tutto vada a buon fine sul fronte ricapitalizzazioni e che Atlante non sia costretto a intervenire, resta l'altro argomento del contendere, quello delle sofferenze. In questo caso la situazione è molto più complessa. Noi abbiamo visto, dopo la risoluzione delle banche di novembre, che la Bce (Toronto: BCE-PA.TO - notizie) ha fatto valorizzare le sofferenze con una media del 17,6% creando quindi una sorta di benchmark di mercato. Per questo motivo Atlante può comprare a un prezzo superiore qualcosa che in realtà vale meno realizzando, quindi, delle perdite sulle sofferenze comprate dalle banche e quelle perdite finirebbero con erodere il capitale iniziale di Atlante i cui azionisti sarebbero perciò costretti a intervenire per ricapitalizzarlo.

Resta poi aperta la questione del rendimento: si è detto che Atlante dovrebbe produrre, in un arco di 4-5 anni a detta dei suoi creatori, un rendimento del 6%, ma le sofferenze, soprattutto quelle di minore qualità, dovrebbero invece rendere sopra il 10%. Cosa significa questo? Che Atlante entrerebbe a sussidiare il valore delle sofferenze, il che rischia di essere un elemento di intossicazione. E ancora: il fondo parte con una dotazione compresa tra i 3 e i 5 miliardi di euro, troppo pochi per sofferenze nette che, per le banche italiane, arrivano a 85 miliardi. La tranche cosiddetta mezzazina delle sofferenze, cioè quella che deriverebbe dalla cartolarizzazione, dovrebbe essere piuttosto grande: pur ponendo come ipotesi che equivalga al 50% di questi 85 miliardi, si tratterebbe comunque di 40 miliardi da togliere dal portafoglio delle banche e un veicolo che ha capitale proprio tra 3 e 5 miliardi, di fronte a una montagna di 40, dovrà indebitarsi pesantemente andando a leva e cioè emettendo a sua volta delle obbligazioni. A questo punto nascerebbe il rischio di un rating junk derivato da un eccessivo debito. Facile perciò chiedersi: chi comprerebbe le obbligazioni di Atlante? Le (Taiwan OTC: 8490.TWO - notizie) stesse banche a cui Atlante toglierebbe le sofferenze dalla pancia?

Sembra dunque di intuire che Atlante non sarà utile…

Prima di tutto bisogna discernere il breve/brevissimo termine dal medio/lungo termine. Nel primo caso si capisce che l'iniziativa ha carattere palesemente emergenziale volta ad evitare problemi ben maggiori, ma nel secondo caso, quindi nel medio/lungo termine, rischia di produrre ulteriori problemi. Nell'immediato i mercati tendono ad entusiasmarsi e solo dopo a ragionare e a reagire, forse anche troppo negativamente con pesanti ribassi. Personalmente credo sia ben difficile che questo sia un intervento risolutivo, invece non fa altro che spingere i problemi più in là e a quel punto i mercati potrebbero spaventarsi e tornare a martellare ferocemente i titoli delle banche, sia quelle sane che quelle meno sane.

Oggettivamente quali soo i problemi che ha il settore e come riuscire a risolversli in maniera stabile anche per il lungo periodo, quello che, a quanto pare, Atlante potrebbe non essere in gradi di fare?

Il problema del settore bancario italiano sono le sofferenze che, a differenza di quanto ci dicono, sono abnormi. Nel report semestrale del FMI si è evidenziato che l'Italia è un'eccezione fortemente negativa in termini di incidenza delle sofferenze sul capitale proprio delle banche. Questo è una conseguenza della profondità e della durata della crisi economica che il paese sta vivendo ormai da anni ma anche, sebbene in misura minore, di politiche di credito piuttosto allegre, con prestiti spesso sganciati dalla valutazione del merito di credito sottostante. Cosa fare? Prima di tutto rimuovere queste sofferenze dal bilancio delle banche attraverso aumenti di capitale, ma se non si trova chi è disposto a immettere la liquidità necessaria o se gli azionisti di controllo non vogliono mettere altri soldi si rischia di rendere il settore abitato da zombie, cosa che la Bce sta combattendo a tutto spiano. Alla radice di tutto questo resta sempre e comunque l'insufficiente crescita italiana: il modo migliore per curare degli stock di sofferenze o impedire che se ne formino di nuove (il che è anche più importante), oltre a una sana condotta di gestione del credito, elemento ovviamente primario, è quello di avere una crescita sana. Va da sè che per crescita sana si intende qualcosa di sostenibile e sistematico e non una crescita dello zerovirgola dopo anni di perdite a due cifre del Pil. Finchè non si viene a capo di questo noi saremo sempre sul ciglio del burrone, soprattutto in un contesto come quello attuale, caratterizzato da una deflazione piuttosto perniciosa che danneggia sia i debitori che le banche stesse. Queste ultime, in particolar modo, con l'Euribor negativo, non riescono più a guadagnare e se oltre ciò non riescono più a smaltire le sofferenze accumulatesi in questi anni, il problema di fondo diventa ogg Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online