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Aumento propensione al rischio mette in marcia le materie prime

Le materie prime escono da una settimana di buone performance guidate dalle azioni della banca centrale, o meglio (come si è poi delineato) dalla mancanza di azioni. Il mancato rialzo del tassi di interesse deciso durante il Federal Open Market Committee ha contribuito a innescare una forte ripresa degli asset più rischiosi, essendosi il dollaro indebolito ulteriormente.

Il Bloomberg Commodity Index ha registrato la migliore di cinque settimane grazie al forte rally dei metalli, sia preziosi che industriali.

Nonostante una nuova ondata di forniture, sembra che i mercati petroliferi credano ora nel possibile accordo tra Opec e Russia nel meeting di Algeri del 28 settembre. L’argento è salito, mentre pare che l’oro non abbia fretta di uscire dal range degli ultimi tre mesi.

La contrazione delle scorte aveva portato alla crescita di zucchero e caffè (prima che avvenissero le prese di profitto), mentre le coltivazioni chiave, quali mais e grano, si sono trovate in difficoltà con la partenza della stagione del raccolto USA.

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Le preoccupazioni relative alla diminuzione delle scorte hanno sostenuto i forti picchi di zucchero e caffè.

I future dello zucchero di canna hanno raggiunto il punto più alto degli ultimi quattro anni e il caffè Arabica quello degli ultimi 19 mesi, prima di tornare a livelli più bassi per la caduta del real brasiliano e per l’avvio delle prese di profitto da parte degli hedge funds, possessori di un gran numero di posizioni lunghe.

Lo zucchero è salito del 40% quest’anno, mentre il caffè Arabica del 14%, dopo aver fatto registrare movimenti laterali per una buona parte degli ultimi due anni.

Negli ultimi due mesi, sia il mais che il grano hanno fatto diversi tentativi per rialzarsi da un periodo di bassi durato diversi anni, supportati dalla debolezza del dollaro, ma ostacolati dalle pressioni della raccolta USA e dalle preoccupazioni sulla situazione climatiche che hanno tolto energia al mercato.

Il FOMC ha deciso di rimanere in attesa per un periodo più prolungato, con il mercato che ha posticipato il rialzo dei tassi di interesse fino a dicembre – sempre che decida di alzarli. I metalli preziosi sono saliti sul palcoscenico, senza però riuscire a crescere ulteriormente nonostante il dollaro debole e i rendimenti obbligazionari inferiori e rendendo così evidente la difficoltà di riprendere il rally.

L’oro è sempre stato immobile nei tre mesi post-Brexit. Gli investitori si sono fatti da parte nell’attesa di una correzione più profonda o di un evento in grado di rivitalizzare il mercato per arrivare ad un livello di resistenza chiave di $1,375/oz.

Fino ad ora, questo evento non si è concretizzato e l’oro ha ritracciato a $1,335/oz, prezzo medio degli ultimi tre mesi.

Non si è verificato alcun cambiamento nelle posizioni totali in ETP degli ultimi due mesi, in seguito ad una crescita di circa il 40% nella prima parte dell’anno. Gli hedge funds, nel frattempo, hanno mantenuto invariata (ma sempre a livelli quasi-record) la scommessa rialzista negli ultimi tre mesi.

Unendo i due gruppi di investitori, risulta che le partecipazioni totali in oro (2.730 tonnellate) sono inferiori solo del 13% rispetto al picco del 2012. Tuttavia, il valore nominale di 127 miliardi di dollari, è inferiore del 35%.

L’oro è scambiato tra due linee di tendenza convergenti dal 24 giugno con supporto a $1,310/oz e resistenza a $1,347/oz. Manteniamo delle aspettative positive per il medio periodo, anche se occorre una correzione più profonda e un test al di sotto dei $1,300/oz per attrarre la domanda di investitori a lungo termine.

I trader di petrolio sono in attesa del meeting di Algeri

Esattamente come nel caso dell’oro, il mercato del petrolio è bloccato con la pressione legata all’eccesso di offerta mitigata dalla speranza che Opec e Russia trovino un accordo per la riduzione della produzione.

Gli stati membri OPEC si incontreranno nel contesto dell’International Energy Forum, punto di incontro di produttori e consumatori che avrà luogo in Algeria dal 26 al 28 settembre. Anche la Russia parteciperà al forum.

Dopo quattro giorni di guadagni, sia il WTI che il Brent sono crollati prima del weekend. La riduzione delle scorte USA, il dollaro debole e la rinnovata intenzione (a parole) dei produttori in vista dell’incontro di Algeri hanno contribuito a compensare le aspettative ribassiste sul fronte dell’offerta.

Secondo questo articolo di Bloomberg, in settembre abbiamo assistito ad un incremento della produzione di 800.000 barili/giorno provenienti da Nigeria, Libia e Russia. L’aumento della produzione in un mercato già in eccesso di offerta è la sfida che i produttori di petrolio devono affrontare al più presto.

Lo scorso aprile, nel meeting di Doha, non si è posto un limite alla fornitura, in parte a causa dell’insistenza dell’Arabia Saudita che riteneva che non si potesse trovare un accordo senza la partecipazione dell’Iran.

Sei mesi dopo, possiamo dire che l’Iran abbia ora raggiunto i livelli di produzione pre-sanzioni e che ci siano speculazioni riguardo l’effettiva possibilità di trovare un accordo. I rappresentanti di Arabia Saudita e Iran si sono incontrati a Vienna prima del meeting e sembra che l’Arabia Saudita sia disposta a tagliare la produzione se l’Iran farà lo stesso.

L’Arabia Saudita produce circa 10,2 milioni di barili/giorno nei primi cinque mesi dell’anno fino a raggiungere il record di 10.67 in luglio. Ipotizzando una riduzione, in un periodo dell’anno in cui la produzione stagionale tende comunque a diminuire, è una mossa intelligente, ma deve ancora ottenere l’improbabile approvazione di Tehran.

Con lo stabilizzarsi della produzione USA nel corso degli ultimi due mesi, la pressione sull’Opec è aumentata, soprattutto poiché l’eccesso di offerta è legato in particolare all’aumento della produzione degli Stati membri.

Restiamo del parere che le prospettive resteranno limitate fino a quando non vedremo una reale riduzione della produzione. Un accordo per un taglio potrebbe innescare una corsa speculativa ma, ancora una volta, il Brent fermo sui 50$/b potrebbe porre una forte resistenza.

Un eventuale non-intervento comporterebbe un’ulteriore crescita della produzione, con il conseguente rischio di portare il Brent ad un supporto inferiore ai $45/b, raggiungendo potenzialmente i $40/b.

Durante questo trimestre, il Brent ha registrato un valore medio di $47.7/b, muovendosi in un range tra i $45 e i $50/b. La mancanza di un accordo ad Algeri potrebbe estendere ulteriormente il range verso valori più bassi, mentre un accordo, ovviamente in base al suo contenuto, potrebbe dare il via ad un rally al di sopra dei $50/b.

Di Ole Hansen

Autore: Saxobank Per ulteriori notizie, analisi, interviste, visita il sito di Trend Online