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Brexit: comincia l'esodo, da Ubs a Goldman Sachs

La Brexit procede per la sua strada: martedì prossimo, 24 gennaio, la Corte Suprema inglese si pronuncerà per fare ulteriore chiarezza circa il diritto di invocare o meno l’articolo 50 del Trattato di Lisbona: casus belli è stata proprio la politica intransigente del premier britannico Theresa May la quale, in maniera giudicata al limite del dittatoriale, ha tracciato schemi, date, iter e step dell’intero processo di divisione.

Chi decide cosa?

Una facoltà che, a giudicare dalle pretese del Parlamento, non gli competerebbe. Da qui la richiesta a tribunali inglesi di dirimere la questione: la prima sentenza ha dato infatti la facoltà al Parlamento (in maggioranza non convinto sul divorzio e comunque ostile ad un processo di divisione netta) ma il governo non si è dato per vinto e ha fatto ricorso all’Alta Corte la quale, come detto, si pronuncerà martedì prossimo. Un dettaglio non di poco conto dal momento che, per quanto difficilmente verificabile, l’opzione di un rifiuto della Brexit da parte del Westmister Palace, resta sul tavolo, ancora di più visto che, a prescindere da chi avrà facoltà di dare il via all’uscita unilaterale di Londra, alla fine, sarà comunque il Parlamento a ratificare l’accordo finale con l’Ue.

Intanto la May nel suo discorso di martedì aveva parlato di una Brexit hard, cioè completa e che portasse fuori dall’Unione e dal mercato unico Londra, ma senza astio verso gli altri membri del Vecchio continente con i quali auspicava fattive collaborazioni commerciali. Un augurio che oggi il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha stroncato sul nascere: non solo nessun accordo commerciale sembra possibile nell’immediato ma il Regno Unito potrebbe dover subire le vendette dei suoi ex colleghi, qualora dovesse trasformarsi in paradiso fiscale come suggerito da alcune voci.

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Le decisioni di Londra

Londra, infatti, per riuscire a mantenere la competitività persa e ad evitare la fuga delle grandi istituzioni finanziarie e di conseguenza anche dei capitali, sarebbe disposta a modificare le sue leggi in materia fiscale favorendo le società e le aziende disposte a piantare le tende entro i propri confini. Una paura che sembra essersi concretizzata con la notizia secondo la quale Goldman Sachs (NYSE: GS-PB - notizie) sarebbe pronta a trasferire circa mille addetti a Francoforte e, nello stesso tempo, tagliare del 50% le sue unità lavorative riducendole perciò a un massimo di 3.000 persone. Quello di Goldman è solo l'ultimo, in ordine di tempo, di una lunga trafila di addii da parte dei grandi nomi della finanza internazionale: Ubs (Londra: 0QNR.L - notizie) ha infatti confermato che entro due anni (tempistica orientativa con la quale si dovrebbe svolgere anche la Brexit) spèosterà circa 1000 suoi dipendenti. Lo stesso numero e lo stesso lasso di tempo scelto anche da Hsbc, mentre da parte di JP Morgan si parla di un esodo di 4 mila dipendenti. Il problema per gli istituti finanziari è quello di vedersi cancellato il cosiddetto il passaporto europeo ovvero un accordo commerciale che permette alle aziende in questione di trattare con tutti e 28 i paesi dell’Unione senza però pagare dazi.

Il disaccordo (che a volte sfiora il caos) riguarda diversi punti, a cominciare dalla tempistica dell’intero iter: Michael Barnier, capo negoziatore Brexit dell’Ue, parla di una deadline al 30 settembre 2018, mentre la May chiede come scadenza il 31 marzo 2019. In realtà, però, e questioni più spinose riguardano gli accordi commerciali e la gestione dei flussi turistici e migratori. Sì, perchè a differenza di quanto si pensa, Londra vuole avere il massimo controllo sulle frontiere e su chi le oltrepassa sia per motivi di lavoro che di studio.

Commercio e immigrazione

Nel (Londra: 0E4Q.L - notizie) primo caso, quello degli accordi è un terreno spinoso verso cui nemmeno gli inglesi hanno le idee chiare: da un lato la May vuole un libero scambio con l’Unione europea, ma fuori dal mercato unico, dall’altro lato il ministro per la Brexit David Davis parla di accordi singoli con libero accesso ai reciproci mercati.

Il secondo punto, invece, è addirittura tutto da creare: immigrazione che possa essere utile agli interessi nazionali. Non è dato sapere quali siano, a che criteri si debba rispondere e, tantomeno i numeri che dovrà rispettare.

Altri, invece, sono i numeri che dovranno essere protetti, come gli oltre 510 miliardi di sterline, ovvero il corrispettivo di quanto finora Londra scambiava con gli altri membri dell’Unione in qualità di partner commerciale privilegiato e che, a sua volta, proprio perchè membro Ue, poteva sfruttare corsie commerciali preferenziali con altri 60 paesi nel resto del mondo. Come riuscire a mantenere il privilegio senza però dover gestire gli obblighi finora avuti?

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