Coronavirus nell'aria, qual è il rischio di contagio: una scoperta cambia tutto
La cosiddetta “airborne”, ovvero la probabilità del contagio da coronavirus nell'aria è bassa, a eccezione delle zone di assembramento. A dirlo è uno studio multidisciplinare, condotto dall'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Cnr (Isac) di Lecce, dall'Università Ca' Foscari Venezia, dall'Istituto di scienze polari del Cnr (Isp) di Venezia e dall'Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata (Izspb), avviato con il progetto "AIR-CoV" e pubblicato sulla rivista scientifica Environment International.
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Sono state prese come oggetto di studio due città italiane, “Venezia-Mestre e Lecce, collocate in due parti del Paese con diffusione del Covid-19 molto diversa nella prima fase della pandemia", ha spiegato Daniele Contini, ricercatore Cnr-Isac. Sono stati raccolti vari campioni, dalle nanoparticelle al PM10, determinando la presenza dell'Rna del Sars-CoV-2.
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“Tutti i campioni - ha proseguito Contini - sono risultati negativi, la concentrazione di particelle virali è risultata molto bassa nel PM10 (inferiore a 0.8 copie per m3 di aria) e in ogni intervallo di dimensioni (inferiore a 0,4 copie/m3 di aria). Pertanto, la probabilità di trasmissione airborne all'esterno, con esclusione delle zone molto affollate, appare molto bassa, quasi trascurabile. Negli assembramenti le concentrazioni possono aumentare, pertanto è assolutamente necessario rispettare le norme anti-assembramento". Per Andrea Gambaro, professore a Ca' Foscari, "è quindi auspicabile mitigare il rischio attraverso la ventilazione periodica degli ambienti, l'igienizzazione delle mani e delle superfici e l'uso delle mascherine".