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Opec: ormai è il caos, forse nuovi tagli. Serviranno?

La zavorra del petrolio si è abbattuta sui mercati europei e, di conseguenza, su Piazza Affari. Alle 13, infatti, il listino milanese, dopo una mattinata partita già i negativo segnava 20.941 punti con un calo dello 0,6% seguito a ruota dal resto delle borse europee che vedevano un Dax a -0,08%, il Cac40 a -0,35% e un Ftse100 a -0,45%.

Caos sui petroliferi

Quello che si registra sul fronte petrolifero assomiglia sempre di più ad un vero e proprio caos. Sì, perchè la strategia di tagli operata dall'Opec ed attuata dopo diversi mesi di contrasti interni grazie ad un accordo faticosamente raggiunto a novembre del 2016, potrebbe non essere sufficiente. Anzi, il condizionale questa volta risulta addirittura pleonastico dal m omento che a confermarlo è il ministro iraniano Bijan Zanganeh secondo il quale sarebbero in corso discussioni per eventuali provvedimenti extra, sempre però ricordando come proprio le diverse esigenze delle varie nazioni costituiscano una zavorra non indifferente. Troppe, infatti, le variabili che decidono le sorti delle quotazioni, per di più in un panorama internazionale in cui sul mercato si sono da tempo affacciati, nel club dei produttori, nuovi protagonisti di primo livello che non possono essere dominati dalla volontà dell'Opec, il cui ruolo di leader è seriamente messo in discussione così come anche quello di interlocutore internazionale.

Ad ogni modo i numero delle quotazioni del petrolio, entrato ufficialmente nella fase di "mercato bearish", confermano come l' i ntesa dei paesi dell'organizzazione non abbia dato i risultati sperati : il Brent, infatti, intorno alle 13 superava di poco i 45 dollari (45,24) mentre il Wti non arrivava a 43 (42,81) con livelli che nelle ore precedenti avevano tovvato il minimo da circa 20 anni a questa parte.

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Il panorama geopolitico

Paradossalmente, invece, potrebbe aver creato ancora più problemi sul fronte degli equilibri interni proprio perchè non ha fatto altro che mettere in evidenza gli squilibri e le dittature di alcuni rappresentanti a discapito di altri. In primis si parla della vera e propria dittatura esercitata dall'Arabia Saudita verso gli altri paesi, soprattutto il Venezuela, prima vittima della guerra delle quotazioni (vittima che, ad onor del vero, negli anni passati ha provveduto con le sue scelte politiche ed economiche scellerate, a scavare quella fossa nella quale, adesso, si trova sepolta). A peggiorare le prospettive che gravano sul petrolio anche un altro elemento: l'attuale Re Salman (83 enne) che ha deciso di nominare come suo erede al trono il nipote Mohammed bin Salman, 31enne ministro della Difesa saudita, invece del nipote Mohammed bin Nayef, 57 anni, teoricamente primo in linea di successione. Il nuovo protagonista della politica araba si è distinto sia per la sua vena fortemente riformista ma anche e soprattutto per la sua intenzione di far tornare l'Arabia una nazione leader del panorama mediorientale (con il rischio di aumentare le già forti tensioni nella zona). A questo vada aggiunto anche il suo progetto Vision 2030, ovvero il piano che dovrebbe affrancare Ryad dalla sua secolare dipendenza dal petrolio implementando lo sfruttamento dell'energia eolica e solare . A questo sia ggiunga anche la sua posizione particolarmente critica contro l'Iran (per la gioia dell'amministrazione Trump) che potrebbe facilmente provocare nuove e più profonde divisioni all'interno dell'Opec: Teheran, infatti, attualmente è esente dai tagli ma il nuovo erede al trono potrebbe chiedere un cambio delle condizioni poste alla repubblica islamica.

L'arrivo delle rinnovabili

Ulteriore conferma delle difficoltà interne all'Opec arriva proprio dal fatto che tra le cause che hanno fomentato il crollo delle quotazioni c i sono Libia e Nigeria, due nazioni che, pur facendo parte dell'Opec, non hanno aderito al patto, riuscendo perciò ad evitare i tagli alla produzione. In Libia, l’offerta vede un aumento di 50.000 barili al giorno ai massimi da 4 anni, in Nigeria l'export arriverà a +62.000 barili al giorno già da agosto. Non solo, ma chi ha brindato a quella rara collaborazione che l'accordo di Vienna di fine 2016 sanciva tra paesi Opec e altri esterni come la Russia, si è dovuto ricredere proprio di fronte allo strapotere dello shale oil Usa. Gli ultimi dati sulle scorte di petrolio rese note dall'US Energy Information Administration sottolineano un calo di 2,451 milioni di barili rispetto alal settimana precedente.(le proiezioni degli analisti si fermavano a 2,106) ma si tratta di un dato molto relativo: il vero problema, come dichiarato dalla banca scandinava Dankse, sarà la domanda in futuro. L'accordo di Parigi nato per evitare l'aumento delle temperature di oltre 2 gradi centigradi entro il 2100 prevede un taglio netto delle emissioni di gas nocivi e, quindi, degli investimenti dei progetti da parte delle grandi major del petrolio. Il dubbio arriva perciò su quei 2.300 miliardi di dollari in progetti oil&gas che, secondo Carbon Tracker, le grandi compagnie avrebbero già in cantiere. Si tratterebbe, in altre parole, di investimenti inutili e costosi.

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