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Saipem, giudice boccia sequestro a ex manager Varone, "no danno a società"

di Emilio Parodi MILANO (Reuters) - Dopo che l'11 aprile scorso il Tribunale di Milano aveva dichiarato illegittimo il licenziamento dell'ex direttore operativo di Saipem Pietro Varone, fra gli indagati dell'inchiesta della procura su presunte tangenti pagate da Saipem per ottenere contratti in Algeria, un altro giudice del lavoro ha rigettato la richiesta di sequestro di beni "pari ad almeno 5,29 milioni di euro" avanzata dalla società nei confronti dell'ex manager. Lo si evince dall'ordinanza, letta da Reuters, emessa ieri dal giudice Nicola Di Leo che scrive come non ci siano "sufficienti allegazioni ed elementi per dimostrare, anche solo a livello indiziario, l'esistenza di un danno". La società, attraverso una portavoce, fa sapere che "la decisione appresa oggi non pregiudica la futura protezione dei diritti di risarcimento di Saipem in un giudizio di merito. La società non condivide, comunque, la decisione cautelare e valuterà le opportune impugnazioni". Si tratta in questo caso infatti di un procedimento cautelare in vista di un nuovo processo lavoristico che Saipem ha intenzione di intentare all'ex dirigente per il risarcimento dei danni che ritiene di aver subito dalle condotte emerse nell'inchiesta penale sulla corruzione internazionale. Il "no" del giudice Di Leo è un giudizio di primo grado e ora la società ha la possibilità di reclamare questo provvedimento davanti alla Corte d'Appello. L'INCHIESTA SUI CONTRATTI ALGERINI Varone era stato licenziato l'8 gennaio 2013 e, come detto, è fra gli indagati dell'inchiesta condotta dai pm Fabio De Pasquale e Giordano Baggio che ha al centro oltre 197 milioni di euro di presunte tangenti per l'acquisizione di sette contratti d'appalto in Algeria del valore complessivo di 8 miliardi di euro e con un profitto per Saipem di oltre un miliardo di euro. Nel fascicolo, fra gli altri, sono indagati l'ex presidente di Saipem Algeria Tullio Orsi, l'ex AD di Saipem Pietro Franco Tali e l'AD uscente di Eni Paolo Scaroni, quest'ultimo per tre incontri a Parigi, Vienna e Milano con l'allora ministro algerino dell'Energia Chekib Khelil e l'intermediario Farid Badjaoui, sul quale pende da luglio scorso un mandato di cattura internazionale. Indagate anche Saipem ed Eni in base alla legge 231. Tutti gli indagati e le società hanno sempre respinto le accuse e hanno più volte ribadito la corretteza del loro operato. GIUDICE: "DA VARONE A SAIPEM NON DANNO MA PROFITTO" Il giudice Di Leo, nel suo provvedimento di sei pagine, sottolinea che il presunto danno verrebbe evidenziato dall'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Varone e altri del luglio 2013, che individua in 5,29 milioni la somma che sarebbe rimasta all'ex manager dei quasi 198 milioni di presunte tangenti. "Occorre mettere in evidenza - scrive il giudice - come la medesima ordinanza del 23/07/2013 abbia al contempo affermato che tali somme versate a Pearl Partner sarebbero state per ottenere a favore della ricorrente l'assegnazione da parte dell'ente di Stato algerino Sonatrach... dei seguenti contratti per un impoorto complessivo di 8 miliardi di euro, così 'conseguendo Saipem complessivamente e le sue controllate sui contratti così ottenuti un profitto globale ante imposte alla data del 31/12/12 pari a euro 1.003.155.000'". "Ciò posto - continua il giudice del lavoro - non vi è chi non veda come, con un così ingente profitto non risulta accertabile alcun 'fumus boni iuris' di 'danni che siano stati cagionati' alla ricorrente dalla condotta del resistente". "Non risulta ipotizzabile alcun danno, difettando, in particolare, nel ricorso, ogni allegazione per dimostrare, in primo luogo, che i contratti di cui si narra sarebbero stati comunque acquisiti dalla Saipem spa anche in assenza dell'eventuale attività illecita prospettata, in cui sarebbe coinvolto Pietro Varone (e dalla quale sarebbe derivata la somma sopra esposta quale guadagno della stessa parte attorea)". "Manca in secondo luogo ogni deduzione utile per convincere che, in mancanza della medesima attività di cui all'ordinanza del 23/7/12, la società avrebbe, in ogni caso, conseguito un maggior profitto, rispetto a quello notevole di euro 1.033.155.000 citato nel procedimento penale". Il giudice precisa inoltre che "pare, tra l'altro, utile riflettere come, nel caso fosse provata una corruzione internazionale, presumibilmente, i danneggiati, a livello diretto e immediato, non sarebbero stati tanto la società ricorrente e [...] neppure la Sonatrach [...], quanto, piuttosto, i terzi concorrenti non aggiudicatari delle gare pubbliche che fossero state illecitamente condotte. Soggetti che, comunque, al momento, non risultano aver annunciato alcuna richiesta risarcitoria". Il giudice del lavoro conclude poi con ulteriore chiarezza, ribadendo che non si può non ponderare "la fattispecie nella sua interezza, e cioè anche la circostanza che, in virtù della complessiva attività di cui all'ordinanza citata, nella quale avrebbe avuto un ruolo determinante il convenuto, proprio la ricorrente avrebbe conseguito un profitto di oltre un miliardo di euro, e non un danno, ottenendo contratti per 8 miliardi di euro". Sul sito www.reuters.it le altre notizie Reuters in italiano. 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