Annuncio pubblicitario
Italia markets closed
  • FTSE MIB

    34.249,77
    +310,02 (+0,91%)
     
  • Dow Jones

    38.310,01
    +224,21 (+0,59%)
     
  • Nasdaq

    15.961,09
    +349,33 (+2,24%)
     
  • Nikkei 225

    37.934,76
    +306,28 (+0,81%)
     
  • Petrolio

    83,82
    +0,25 (+0,30%)
     
  • Bitcoin EUR

    59.767,78
    -613,71 (-1,02%)
     
  • CMC Crypto 200

    1.383,71
    -12,82 (-0,96%)
     
  • Oro

    2.347,40
    +4,90 (+0,21%)
     
  • EUR/USD

    1,0697
    -0,0036 (-0,33%)
     
  • S&P 500

    5.110,16
    +61,74 (+1,22%)
     
  • HANG SENG

    17.651,15
    +366,61 (+2,12%)
     
  • Euro Stoxx 50

    5.006,85
    +67,84 (+1,37%)
     
  • EUR/GBP

    0,8562
    -0,0012 (-0,14%)
     
  • EUR/CHF

    0,9771
    -0,0014 (-0,14%)
     
  • EUR/CAD

    1,4620
    -0,0029 (-0,20%)
     

La religione? Influenza il modo in cui spendi. Scopri come

Cambia l'approccio etico ai prodotti e ai brand ma anche la visione del mercato come spazio umano

Religione (Fotolia)

La religione e la spiritualità influenzano i consumi? E se sì, in che modo rispetto a chi non segue una forma istituzionalizzata di religiosità o non possiede una particolare visione del sacro o un suo senso personale di trascendenza? Yahoo! lo ha chiesto al professore Stefano Pace, docente in Francia, e professore di marketing e cross media communication in Bocconi, che al tema ha dedicato un articolo sul quotidiano dell’ateneo milanese, via Sarfatti25.it., dal titolo “La divinità che ci spinge a consumare”. 

Professor Pace, in cosa cambia l’approccio al consumo, al mercato, per i consumatori religiosi – che seguono una dottrina istituzionalizzata- e per i consumatori spirituali, non legati a un culto ma dotati di idee sul sacro?
"Entrambi condividono l’idea che la morale, l’etica dell’azienda, dell’impresa, del brand sia saliente. Il consumatore religioso- o spirituale- si avvicina al mercato e ai brand con un'attenzione all'aspetto etico più alta rispetto a chi non ha aspetti spirituali o religiosi nel suo modo di consumare. Etica che si può riferire sia all'impresa in sé (se tratta bene i dipendenti, se non sfrutta il lavoro..) sia al concetto di brand che – ormai visto come entità reale per il consumatore- può essere o non essere etico. La differenza tra chi è religioso e chi è spirituale è che nel secondo caso, l’etica, anche quella del consumo, non si forma all'interno della dottrina canonica ma nel gruppo di persone che frequenta, con le quali intrattiene, nelle sue esperienze, un'etica di comunità, fatta insieme ad altri, non da libro, da canone".

Ma in cosa muta l’approccio?
"Ambedue possono avere, se l’esperienza religiosa/spirituale è intesa, un approccio ambiguo nei confronti del consumo, che può servire per avallare scelte di valore religioso o spirituale o per rinnegare aspetti della dottrina stessa".

I consumatori a volte, pur sapendo le malefatte delle multinazionali, continuano a comprare i prodotti. Come si spiega? Sono tutti laici o anche la religione in quel caso è una motivazione debole?

"Se io sono spirituale o religioso, considero il consumo una parte estranea alla mia vita, e essendo estraneo, non mi impegno a seguire in maniera approfondita il tema. Su alcune imprese mi astengo, su altre non mi ci impegno, perché quel consumo per me è pleonastico. I movimenti di consumo che cercano in qualche maniera di resistere a forme non etiche di produzione sono trasversali, movimenti laici o movimenti più legati alla religione. I movimenti laici possono essere più efficaci, sono nel mercato, non hanno ambivalenze, rispetto a chi ha altre tensioni e battaglie etiche. Più in generale a volte c'è da parte del consumatore l'idea che il prodotto nasca sullo scaffale, tutti gli elementi che legano il prodotto a problemi etici importanti potrebbero essere fili troppo tenui. Per alcuni la vita del prodotto inizia quando lo stesso gli viene comunicato".


Professore, scendendo nel dettaglio, in cosa consiste poi l’influenza delle religioni sui consumi e sui consumatori? Come si comporta il consumatore cattolico romano, il musulmano?

"L'elemento essenziale è l'agency, il consumatore decide se aderire a una struttura ideologica o religiosa o se metterci dell'individualità. Nel primo caso il consumatore segue dettami, nel secondo, da agente, conserva un suo margine di libertà, rispetto a dettami strettamente vincolanti. D’altro canto le grandi religioni hanno cominciato a capire che il mercato è un luogo umano, uno spazio, un'istituzione, un contesto in cui si gioca una parte importante della nostra vita,  in cui c’è lo scambio con le imprese e tra i cittadini stessi. Anche sul mercato le religioni propongono la loro visione: ovvero il mercato come luogo fatto da uomini e non più un luogo per economisti, dove ogni rapporto è soddisfazione di bisogni. Pensiamo a Ratzinger, e all’economia della carità: anche le religioni operano strutture e riflessioni su come la persona deve comportarsi nel mercato, un apparato che il consumatore può consultare e fare suo".

In Italia il dibattito sull’opportunità che i negozi siano aperti la domenica – questione cara a chi crede- torna ciclico. Lei come lo valuta? Ha senso o è un problema tipicamente italiano?
"L'ultima volta che ho ascoltato un dibattito in merito ero a Berlino, e si dibatteva se lasciare o meno i negozi chiusi per motivi sindacali, economici, a dimostrazione del fatto che non è un problema provinciale. Sono questioni diffuse ma credo si sia raggiunto un equilibrio tra coloro che preferiscono dedicarsi alla famiglia, alla chiesa e quelli che la domenica si dedicano ai consumi. E’ una discussione eterna, l’opinione pubblica ha bisogno di eventi , date, circostanze per affrontare la questione, per discutere temi complessi in senso più ampio, senza risolvere il problema in maniera legislativa".

Per anni si è detto che il consumo era una nuova religione. Ora quale culto domina, quello della decrescita? Il consumo come religione è finito per sempre?
"Direi che abbiamo scavallato la montagna, nel senso che il consumatore oggi non fa del consumo la propria vita, è una persona abbastanza esperta, un professionista. E’ un discorso scemato con la crisi, generata anche, ma non solo, da consumi eccessivi e sfrenati. Il cambiamento grosso è l’impossibilità di segmentare il consumatore, per capire come si comporta. La comunicazione, nel marketing, è ancora importante ma inferiore rispetto al passato, poiché chi compra non vuole sentirsi dire cosa fare, ma vuole ingaggiare conversazione da pari a pari".