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La Sicilia abolisce le Province. Anzi no

La Sicilia abolisce le Province. Anzi no

La Sicilia abolisce le Province. O meglio, ne cambia il nome. Le nove province regionali vengono sostituite da altrettanti Liberi consorzi dei Comuni, con la possibilità di crearne di nuovi entro sei mesi, a patto che raggruppino una popolazione di almeno 180mila abitanti. Il voto diretto sarà abolito: gli organismi saranno di secondo livello, eletti quindi non dai cittadini ma dalle assemblee dei consorzi. Sembra una riforma che rivoluzionerà la cartina amministrativa siciliana, in realtà è un provvedimento “a metà”. Sì perché bisognerà aspettare il prossimo autunno per avere l’altra parte della nuova legge che disciplinerà i compiti e le funzioni dei Liberi consorzi.

L’altra novità è la creazione delle tre aree metropolitane di Palermo, Catania e Messina, anche in questo caso si tratta di organismi di secondo livello. L’approvazione della nuova legge – votata da 62 deputati su 90 totali dell’Assemblea Regionale Siciliana – è arrivata al termine di un percorso difficile, durato più di un anno. “Questa legge non azzera le Province, ma le supera”, ha commentato Antonello Cracolici, ex capogruppo Pd in Regione, tra coloro che più hanno contribuito all’iter di riforma. Finché non sarà approvato anche l’atro pezzo della normativa, però, le Province, di fatto, hanno solo cambiato nome, diventando dei Liberi consorzi tra Comuni, ma mantenendo tutte le strutture degli enti precedenti, compresi dipendenti, sedi e debiti. Mentre a livello nazionale il precedente governo Letta aveva cercato di proseguire la strada aperta da Mario Monti, con l’obiettivo di cancellare gli enti provinciali, in Sicilia si decide di mantenere nove enti di secondo livello che, tra l’altro, potrebbero anche raddoppiare. Il Parlamento regionale, infatti, ha approvato l’emendamento che fissa in 180mila il limite minimo di abitanti per costruire i Liberi consorzi tra Comuni: escludendo le tra città metropolitane (Palermo, Catania e Messina), in Sicilia potrebbero nascere quindi fino a venti nuovi Consorzi, numero di abitanti alla mano.

Le Province, in buona sostanza, non sparirebbero ma, semplicemente, non sarebbero più elette dai cittadini. Cambiare tutto per non mutare un bel niente. O quasi. “Questa non è una riforma per i cittadini, ma per i giornali”, ha commentato il capogruppo dell’opposizione Nello Musumeci, come riportato da Il Fatto Quotidiano. Qualche dubbio sulla riforma lo ha anche Calogero Firetto, deputato Udc: “Questa non è la riforma che io avrei voluto, ma è appunto il frutto di una sintesi vasta”. Troppo forse. “Il rischio è che le mediazioni tra i partiti ritardino il completamento della riforma che senza di noi non sarebbe nemmeno approdata a questo punto d’inizio”, ha avvertito Francesco Cappello, capogruppo del Movimento 5 Stelle. Sinistra Ecologia e Libertà, tramite Sergio Lima, definisce il provvedimento funzionale solo al presidente della Regione, Rosario Crocetta, che così “può apparire come rivoluzionario mentre si barcamena nella politica dell’Ars come erede della tradizione gattopardesca”.

Paragoni letterari a parte, c’è anche chi ha accolto con favore l’abolizione, come il democratico Pippo Di Giacomo: “Ad oggi abbiamo abolito i privilegi politici”, ha esultato. Ma se entro ottobre non seguirà la parte due della riforma, la sostituzione delle Province rischia di restare un provvedimento dimezzato. C’è ancora un po’ di tempo per evitare che nell’isola si vada incontro all’ennesimo tentativo fallito di cambiamento.