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Alfonso Fuggetta: "Tim a KKR? L'importante è che chi gestirà la rete sia davvero indipendente"

Un tecnico controlla il cablaggio dei cavi della  fibra ottica ultaveloce di un centralina, Peschiera Borromeo, 14 maggio 2021. ANSA/DANIEL DAL ZENNARO (Photo: Daniel Dal ZennaroANSA)
Un tecnico controlla il cablaggio dei cavi della fibra ottica ultaveloce di un centralina, Peschiera Borromeo, 14 maggio 2021. ANSA/DANIEL DAL ZENNARO (Photo: Daniel Dal ZennaroANSA)

Nel primo giorno di contrattazioni dopo la manifestazione di interesse per Tim arrivata dal fondo americano Kkr, il titolo dell’ex monopolista delle telecomunicazioni è tornato sui valori di giugno, chiudendo la giornata con un brillante +30%. Segnale che il mercato ha accolto con favore la possibilità di una eventuale Opa su Tim. “Ma per dare un giudizio esaustivo della vicenda è prematuro, bisogna prima capire una serie di dettagli. Al momento sappiamo ancora troppo poco. L’importante è che chi gestirà la rete sia davvero un operatore indipendente”, dice all’HuffPost Alfonso Fuggetta, docente del Politecnico di Milano e CEO di Cefriel.

Il fondo americano Kohlberg Kravis Roberts ha presentato una manifestazione di interesse non vincolante per Tim, con una proposta, al momento indicativa, di un’Opa da 0,505 euro per azione. Significa valutare la società undici miliardi di euro, ovvero il 45% in più rispetto alla capitalizzazione alla chiusura di Borsa venerdì scorso. È una buona notizia?

È necessario e doveroso esercitare prudenza perché sono ancora tante le cose che non sappiamo. I termini dell’offerta, ad esempio, o quali scopi intende perseguire, come pensa di porsi verso una serie di criticità che Tim da tempo si trascina. Chiaramente è da valutare positivamente che un soggetto straniero voglia investire una significativa quantità di miliardi nel nostro Paese. Tuttavia c’è una serie di nodi legati a tutte le vicende di Telecom che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi quindici anni. Per ora possiamo immaginare che l’interesse del fondo americano sia dovuto al desiderio di rilanciare la compagnia telefonica. Ma un giudizio reale si potrà dare solo quando saranno chiari i termini dell’accordo, la governance dell’azienda e chi la guiderà.

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Dopo la manifestazione di interesse del fondo americano, la politica ha reagito appellandosi al Governo affinché faccia rapidamente chiarezza sull’operazione. Tra i vari asset di Tim quello più sensibile per i partiti è certamente la proprietà della rete, non a caso da tempo si parla di un eventuale scorporo...

A mio avviso vi è prima di tutto una questione di concorrenza. Chiunque gestisca l’infrastruttura deve essere indipendente rispetto agli operatori retail che offrono i servizi di tlc.

Deve essere un soggetto pubblico?

Può anche essere un soggetto privato o a maggioranza privata. Il tema è come i gestori della rete - visto che al momento ne abbiamo due, Tim e Open Fiber - si collocano rispetto agli operatori retail. Ad esempio, sappiamo come opera Open Fiber: gestisce l’infrastruttura e la affitta agli operatori. È neutrale. Tim invece è società già integrata. Ha infrastruttura e offre servizi. E bisogna capire con la nuova società FiberCop (fornitore dei servizi d’accesso sull’ultimo miglio della rete in fibra, peraltro già partecipato da Kkr, ndr) quali saranno i legami tra il gestore e le aziende terze che offrono servizi tlc. Il tema non è tanto se la natura del gestore deve essere pubblica o privata, ma l’indipendenza societaria tra i diversi attori coinvolti, tra rete e servizi.

Oggi, ricordava, ci sono due operatori di rete: Tim e Open Fiber. Da tempo si parla di una eventuale integrazione in una rete unica, progetto che tuttavia stenta a decollare. Quali sono le difficoltà?

Quella di Open Fiber è una rete tutta in fibra e che quindi ha una topologia pensata esclusivamente per la fibra. Quella di Tim invece è una rete mista, spesso con la fibra dalla centrale al cabinet (l’armadio) e poi i cavi in rame fino alle case. Ma comunque si tratta di una infrastruttura che ricalca la vecchia rete in rame. Le due reti non hanno la stessa topologia né la stessa struttura. Non si tratta perciò di togliere semplicemente il rame e sostituirlo con la fibra. Questo è un problema di carattere tecnico: nel caso si voglia percorrere la via di una rete unica bisogna ripensare l’intera struttura complessiva.

Per le autorità nazionali ed europee della Concorrenza, la via preferibile per la gestione dell’infrastruttura è quella di un operatore di rete puro, non verticalmente integrato nella fornitura di servizi agli utenti finali.

Questa è una ipotesi che avevo sposato in passato anche io: un operatore di rete wholesale e tanti operatori retail di servizi. In realtà ci possono essere anche più operatori wholesale, ma affinchè ci sia concorrenza non ci deve essere integrazione verticale o, in alternativa, non ci devono essere posizioni dominanti. Questo è stabilito dalle norme antitrust Ue. Se c’è un soggetto attivo nei servizi che è anche proprietario della rete, il rischio è che non vi sia nessuna garanzia per gli altri operatori retail.

Qual è lo stato dell’arte per quanto riguarda la rete in fibra ottica in Italia?

Certamente Open fiber ha dato una scossa. Se guardiamo all’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI) della Commissione europea si vede che in alcuni ambiti, e mi riferisco alla connettività, l’Italia ha fatto dei progressi. Si nota un cambio di passo, diversamente da altri ambiti. Molte aree sono state cablate ma nell’ultimo anno abbiamo rallentato, anche a causa della pandemia. E restano da risolvere i soliti nodi.

Nodi che Tim si trascina da anni...

La storia di Telecom è tribolata e caratterizzata da una lunga serie di passaggi di mano che hanno complicato la situazione dell’incumbent e contribuito ad aggravare la pesante posizione debitoria dell’azienda. Avere un nuovo mercato delle reti, e vale per Tim come per qualsiasi altro incumbent, vuol dire dover modificare organizzazione, modelli gestionali, sistemi di governance. Tra Pnrr e nuovi operatori che vogliono investire in Italia, potrebbe essere l’occasione per fare quel salto di qualità che attendiamo da tempo.

Questo articolo è originariamente apparso su L'HuffPost ed è stato aggiornato.